Quando le sostanze dannose messe al bando negli sport possono rivelarsi preziosi strumenti per lo sviluppo
di nuove terapie e cure per la vita di tutti i giorni dei cittadini

NEWS IN PILLOLE DAL PASSATO

Ecco un piccolo excursus sugli articoli tratti dal sito sport.it rigurdanti non il presente ma il recente passato relativo all' uso e alla lotta al doping

 

PILLOLA 1

 Doping Pound: "Fissare limite di emoglobina"

Un elevato tasso di emoglobina può essere sintomo di doping, ma non è una prova. Inoltre molte federazioni internazionali di diversi sport hanno fissato limiti diversi. DUnque è necessario fare chiarezza. E' quanto chiede il presidente dell'Agenzia Mondiale Antidoping (Wada) Richard Pound: "Dobbiamo trovare un valore limite come per il testosterone. Quando si supera quel livello x, allora e' da considerare doping. Altrimenti tutto resterà molto vago e indefinito".


PILLOLA 2

Doping a tutto tondo

L'Uci promuove una ricerca sull'uso di doping. Non più semplice fatto medico, ma vero fenomeno sociale.

sport,medico,ciclismo,doping,angolo AP Marco Arceri 28/08/2006 Farmacologi, medici, sociologi e psicologi chiamati da tutto il mondo a parlare di doping. E' quanto ha in mente l'Unione ciclistica internazionale (Uci), che sta promuovendo uno studio sul doping e sulle motivazioni che spingono gli atleti a farne uso. Sconvolto dunque dall'ennesimo scandalo (prima l'operazione Puerta che ha coinvolto tra gli altri anche Basso e Ullrich, poi la positività di Landis), il mondo del ciclismo cerca di andare in profondità.

Determinante sarà anche il contributo di sociologi e psicologi. La ricerca, che inizierà in autunno, studierà l'incidenza delle pressioni commerciali e dei media sugli atleti, lo stress, la necessità di primeggiare, le spinte delle reti sociali che avvolgono i ciclisti (colleghi, allenatori, medici delle squadre, in alcuni casi anche parenti e amici). Si cercherà di studiare anche i rapporti sociali e le gerarchie interne ai team.

E per combattere il doping, non si esclude nemmeno di mutare il calendario ciclistico e renderlo più 'umano'. Magari venendo incontro alle capacità psicofisiche degli atleti, diminuendo le tappe delle corse e gli appuntamenti. Già poco prima di Ferragosto il presidente dell'Uci, Pat McQuaid, aveva annunciato un approccio globale al problema doping, da lui definito 'malattia': "Vogliamo comprendere questo fenomeno. Chiameremo i più grandi specialisti del mondo e terremo conto di tutti gli elementi: i calendari, la durata delle corse, la struttura e la gestione dei team, la pressione intorno al ciclista".


PILLOLA 3


Doping e sponsorizzazioni

Quale è il legame tra la caffeina e i dollari della Coca Cola?. Alcuni atleti rivelano di usare l'alcaloide per migliorarsi, la Wada pensa di rimetterlo tra le sostanze cattive, ma gli sponsor non stanno a guardare.

australia,nuova zelanda,mischia,rugby,mondiale Brian Stefen Paul/Gianluca Farina 19/05/2005 A distanza di soli 18 mesi dalla sua esclusione, la caffeina potrebbe tornare ad essere considerata sostanza dopante e quindi essere reinserita nella lista delle sostanze proibite redatta dalla WADA, l'agenzia mondiale antidoping. Prendendo infatti spunto dalle dichiarazioni fornite da diversi atleti, che hanno ammesso di aver assunto tavolette di caffeina alla vigilia di impegni importanti per migliorare le proprie prestazioni, la WADA sarebbe intenzionata a tornare sui propri passi, sebbene debba fare i conti con chi sostiene che una tale decisione avrebbe un impatto economico notevole sulle sponsorizzazioni, con una conseguente ricaduta negativa in termini economici.

Questo perchè tutte le aziende che producono bibite analcoliche che contengono la caffeina, che poi sono tra i grandi sponsor delle manifestazioni sportive, non vedrebbero certo di buon occhio il ritorno dell'alcaloide in questione tra le fila delle sostanze cattive.  Secondo Louise Burke, una dietista dell’Istituto Australiano dello Sport, proprio qui risiede l'ostacolo maggiore perchè la caffeina venga rimessa al bando: “È possibile che tutte le aziende che sponsorizzano eventi sportivi e mettono sul mercato prodotti che contengono caffeina, come ad esempio la Coca Cola Company, incontrino notevoli difficoltà. E viene da se che la perdita di sponsorizzazioni potrebbe avere implicazioni pesanti”.

La questione è nata quando diversi sportivi australiani , tra cui il campione del mondo dei superleggeri Kostya Tszyu e, soprattutto, il capitano della nazionale australiana, George Gregan, hanno ammesso di aver fatto uso di caffeina prima degli incontri, con finalità legate alla prestazione ed in accordo con i medici dell'Istituto Australiano dello Sport. "La caffeina può accrescere la performance del 7%" ha dichiarato il giocatore dei Wallabies.  Il direttore generale della Wada, David Howman, ha ammesso che l’agenzia è allarmata: “Il fatto ci preoccupa e ci da fastidio. Si tratta di una sostanza che credevamo non fosse usata per migliorare le prestazioni, se non altro perché servono almeno 12 tazze di caffè o capsule di caffeina per influire sulla pretazione sportiva. Ora  stiamo valutando quali sostanze inserire nella lista del 2006”.


 PILLOLA 4

Prima o doping

Prima il triatleta belga Rutger Beke, poi la ciclista colombiana Maria Luisa Calle Williams. Due atleti 'dopati' che tornano puliti.

rutger beke,beke,triatlon la redazione 20/10/2005 Prima il triatleta belga Rutger Beke, sospeso perchè trovato positivo all'Epo nel corso di una gara dalle parti di casa. Poi la ciclista colombiana Maria Luisa Calle Williams, bronzo olimpico di Atene, non più tale dopo il ritrovamento di tracce di una sostanza proibita e il relativo verdetto del Cio. Accanto a tanti atleti che senza soluzione di continuità terminano nelle maglie, non proprio strette, dell'antidoping, altri ritrovano la propria purezza in seguito ad un estenuante lavoro di riabilitazione per via legale.

E' il caso, appunto, della ciclista colombiana Maria Luisa Calle Williams, che ha riottenuto la medaglia di bronzo olimpica frutto del terzo conquistato nella corsa a punti femminile dei Giochi Olimpici di Atene 2004. Medaglia ritirata dal Comitato Olimpico perchè la corridrice era risultata positiva ad un controllo antidoping post gara. Decisivo il verdetto conseguito dalla Corte d'arbitrato per lo sport, che ha ribaltato la decisione presa a suo tempo dal Cio.

Secondo il nuovo giudizio, l'eptaminolo, questo il nome dello stimolante proibito in questione, era presente nelle urine della ciclista non per ingestione diretta quanto per trasformazione chimica dell`isometheptene, sostanza non inclusa nella lista di quelle proibite e presente in molti antistaminici per l`emicrania. Sostanza presente anche nel neo-saldina, medicinale prescritto dal medico della squadra colombiana come risposta al mal di testa che la Calle Williams accusava alla vigilia della prova olimpica.

Ed è anche il caso del triatleta belga Rutger Beke, restituito a nuova vita dopo un'estenuante battaglia condotta contro l'Agenzia Mondiale Antidoping. I fatti. Beke, trovato positivo all`eritropoietina al termine di una gara disputata in Belgio nel 2004, era stato sospeso dall'attività lo scorso marzo. L'atleta, che non aveva mancato in tute le sedi di denunciare la sua completa innocenza, ha infine trovato soddisfazione grazie al lavoro effettuato dalla commissione disciplinare dello sport belga. La quale, dopo aver effettuato i controlli del caso, è giunta a sostenere che le analisi a cui era stato sottoposto Beke risultavano imprecise.

Da qui, presa visione delle carte, la decisione della Wada di revocare la pena, 18 mesi di stop, inflitta al triatleta. Decisione che non ha comunque placato il diretto interessato che, fallita una trattativa con l'Agenzia Antidoping,  ha dato mandato al suo legale di chiedere un ingente risarcimento danni alla stessa (221.000 euro). Sotto accusa sono finiti anche i laboratori di Gent (Belgio) e Colonia (Germania), responsabili delle analisi svolte sui campioni di sangue del triatleta.


PILLOLA 5

Doping di regime

Prima della caduta del muro di Berlino, i dirigenti della DDR obbligavano gli atleti ad assumere sostanze dopanti. Ora questi ultimi chiedono i danni.

olimpiadi,doping,processo,ddr,germania est Brian Stefen Paul 29/04/2005 Prima della caduta del muro di Berlino, i dirigenti della DDR obbligavano gli atleti ad assumere sostanze dopanti per raggiungere successi a livello internazionale da sfruttare in chiave propagandistica. L’intenzione era di esportare all’estero l’immagine di una società sana e in costante sviluppo, capace di produrre di tutto, anche campioni di fama mondiale. Per quanto, però, si possa parlare dei progressi compiuti nel campo della scienza e, nella fattispecie, nel campo dei farmaci, l’uso di sostanze anabolizzanti spesso porta a tragedie e, a volte, alla morte.

Coloro che ancora la pensano diversamente dovrebbero riflettere sulle conseguenze devastanti che il doping ha avuto su diversi ex atleti della Germania Est, che soffrono di cardiopatie, disfunzioni epatiche e diverse forme di cancro. Naturalmente si parla di coloro che sono ancora in vita. A quasi 16 anni dalla caduta del muro vi sono esseri umani che ancora pagano le conseguenze di queste azioni. Molti campioni sono morti e quelli sopravvissuti sono affetti da diversi tipi di malattie: “Non mi riferisco a semplici disturbi che possono essere curati con un intervento chirurgico, ma di cancro, cardiopatie e cirrosi epatica” dice l’ex lanciatore Birgit Boese, costretto all’uso di anabolizzanti sin dall’età di 11 anni.

Le vittime di queste pratiche irresponsabili, che sono più di 160, hanno ora deciso di citare in giudizio la casa farmaceutica che produceva gli steroidi, la Jenapharm, chiedendo 3,2 milioni di euro in risarcimento. Il farmaco sotto accusa si chiama Oral-Turinabol  ma, dal suo canto, l’azienda sostiene di essersi sempre mossa nella legalità e con il consenso dell’allora regime e di non poter essere ritenuta responsabile. La Jenapharm è stata privatizzata nel 1991 e appartiene ora alla Schering. "Questa storia sa di periodo post-nazista, quando nessuno si voleva assumere la responsabilità dei crimini commessi. Ma chi potrà mai spiegare alla nuotatrice Catherine Menschner perché ha abortito sette volte e non è mai diventata madre?”, questo uno dei quesiti che Boese intende porre durante il processo.

L’avvocato degli ex atleti, Michael Lehner, si dice fiducioso del risultato ed è pronto a ricorrere anche alla giustizia europea: "Magari l’Oral-Turinabol era legale ma altri medicinali non lo erano. Era, inoltre, contro la legge non informare gli atleti sui rischi che si prendevano assumendo queste sostanze”. Secondo alcuni rapporti della Stasi, i famigerati servizi segreti della DDR, la Jenapharm forniva agli allenatori anche sostanze illegali, tacendo sui loro effetti collaterali.

LEGISLAZIONE SUL DOPING

ROMA- Riportiamo il testo approvato in via definitiva dal Senato della Repubblica il 16 novembre 2000. In attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping

Art. 1.
(Tutela sanitaria delle attività sportive. Divieto di doping)
1.L’attività sportiva è diretta alla promozione della salute individuale e collettiva e deve essere informata al rispetto dei principi etici e dei valori educativi richiamati dalla Convenzione contro il doping, con appendice, fatta a Strasburgo il 16 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 29 novembre 1995, n. 522. Ad essa si applicano i controlli previsti dalle vigenti normative in tema di tutela della salute e della regolarità delle gare e non può essere svolta con l’ausilio di tecniche, metodologie o sostanze di qualsiasi natura che possano mettere in pericolo l’integrità psicofisica degli atleti.

2.Costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.
3.Ai fini della presente legge sono equiparate al doping la somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione di pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, finalizzate e comunque idonee a modificare i risultati dei controlli sull’uso dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche indicati nel comma 2.
4.In presenza di condizioni patologiche dell’atleta documentate e certificate dal medico, all’atleta stesso può essere prescritto specifico trattamento purché sia attuato secondo le modalità indicate nel relativo e specifico decreto di registrazione europea o nazionale ed i dosaggi previsti dalle specifiche esigenze terapeutiche. In tale caso, l’atleta ha l’obbligo di tenere a disposizione delle autorità competenti la relativa documentazione e può partecipare a competizioni sportive, nel rispetto di regolamenti sportivi, purché ciò non metta in pericolo la sua integrità psicofisica.

Art. 2.
(Classi delle sostanze dopanti)
1.I farmaci, le sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e le pratiche mediche, il cui impiego è considerato doping a norma dell’articolo 1, sono ripartiti, anche nel rispetto delle disposizioni della Convenzione di Strasburgo, ratificata ai sensi della citata legge 29 novembre 1995, n. 522, e delle indicazioni del Comitato internazionale olimpico (CIO) e degli organismi internazionali preposti al settore sportivo, in classi di farmaci, di sostanze o di pratiche mediche approvate con decreto del Ministro della sanità, d’intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive di cui all’articolo 3.
2.La ripartizione in classi dei farmaci e delle sostanze biologicamente o farmacologicamente attive è determinata sulla base delle rispettive caratteristiche chimico-farmacologiche; la ripartizione in classi delle pratiche mediche è determinata sulla base dei rispettivi effetti fisiologici.
3.Le classi sono sottoposte a revisione periodica con cadenza non superiore a sei mesi e le relative variazioni sono apportate con le stesse modalità di cui al comma 1.
4.Il decreto di cui al comma 1 è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

Art. 3.
Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive)1.È istituita presso il Ministero della sanità la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, di seguito denominata "Commissione", che svolge le seguenti attività:

1.Predispone le classi di cui all’articolo 2, comma 1, e procede alla revisione delle stesse, secondo le modalità di cui all’articolo 2, comma.
2.Determina, anche in conformità alle indicazioni del CIO e di altri organismi ed istituzioni competenti, i casi, i criteri e le metodologie dei controlli anti-doping ed individua le competizioni e le attività sportive per le quali il controllo sanitario è effettuato dai laboratori di cui all’articolo 4, comma 1, tenuto conto delle caratteristiche delle competizioni e delle attività sportive stesse

3.Effettua, tramite i laboratori di cui all’articolo 4, anche avvalendosi di medici specialisti di medicina dello sport, i controlli anti-doping e quelli di tutela della salute, in gara e fuori gara; predispone i programmi di ricerca sui farmaci, sulle sostanze e sulle pratiche mediche utilizzabili a fini di doping nelle attività sportive

4.Individua le forme di collaborazione in materia di controlli anti-doping con le strutture del Servizio sanitario nazionale

5.Mantiene i rapporti operativi con l’Unione europea e con gli organismi internazionali, garantendo la partecipazione a programmi di interventi contro il doping

6.Può promuovere campagne di informazione per la tutela della salute nelle attività sportive e di prevenzione del doping, in modo particolare presso tutte le scuole statali e non statali di ogni ordine e grado, in collaborazione con le amministrazioni pubbliche, il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), le federazioni sportive nazionali, le società affiliate, gli enti di promozione sportiva pubblici e privati, anche avvalendosi delle attività dei medici specialisti di medicina dello sport

2.Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento adottato con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, sono stabilite le modalità di organizzazione e di funzionamento della Commissione.
3.La Commissione è composta da:
   1.Due rappresentanti del Ministero della sanità, uno dei quali con funzioni di presidente 
   2.Due rappresentanti del Ministero per i beni e le attività culturali
   3.Due rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome
   4.Un rappresentante dell’Istituto superiore di sanità
   5.Due rappresentanti del CONI
   6.Un rappresentante dei preparatori tecnici e degli allenatori
   7.Un rappresentante degli atleti
   8.Un tossicologo forense
   9.Due medici specialisti di medicina dello sport
  10.Un pediatra
  11.Un patologo clinico
  12.Un biochimico clinico
  13.Un farmacologo clinico
  14.Un rappresentante degli enti di promozione sportiva
  15.Un esperto in legislazione farmaceutica

4.I componenti della Commissione di cui alle lettere f), g) e p) del comma 3 sono indicati dal Ministro per i beni e le attività culturali; i componenti di cui alle lettere h) e n) del comma 3 sono indicati dalla Federazione nazionale degli ordini dei chimici; i componenti di cui alle lettere i), l) ed m) del comma 3 sono indicati dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri; i componenti di cui alle lettere o) e q) del comma 3 sono indicati dalla Federazione nazionale degli ordini dei farmacisti.

5.I componenti della Commissione sono nominati con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, e restano in carica per un periodo di quattro anni non rinnovabile.

6.Il compenso dei componenti e le spese per il funzionamento e per l’attività della Commissione sono determinati, con il regolamento di cui al comma 2, entro il limite massimo di lire 2 miliardi annue.

Art. 4.
(Laboratori per il controllo sanitario sull’attività sportiva)
1.Il controllo sanitario sulle competizioni e sulle attività sportive individuate dalla Commissione, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera b), è svolto da uno o più laboratori accreditati dal CIO o da altro organismo internazionale riconosciuto in base alle disposizioni dell’ordinamento internazionale vigente, sulla base di una convenzione stipulata con la Commissione. Gli oneri derivanti dalla convenzione non possono superare la misura massima di lire un miliardo annue. Le prestazioni rese dai laboratori accreditati non possono essere poste a carico del Servizio sanitario nazionale nè del bilancio dello Stato. I laboratori di cui al presente articolo sono sottoposti alla vigilanza dell’Istituto superiore di sanità, secondo modalità definite con decreto del Ministro della sanità, sentito il direttore dell’Istituto, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

2.I laboratori di cui al comma 1 svolgono i seguenti compiti.
1.Effettuano i controlli anti-doping secondo le disposizioni adottate dalla Commissione ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera b)
2.Eseguono programmi di ricerca sui farmaci, sulle sostanze e sulle pratiche mediche utilizzabili a fini di doping nelle attività sportive

3.Collaborano con la Commissione ai fini della definizione dei requisiti di cui al comma 3 del presente articolo

3.I controlli sulle competizioni e sulle attività sportive diverse da quelle individuate ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera b), sono svolti da laboratori i cui requisiti organizzativi e di funzionamento sono stabiliti con decreto del Ministro della sanità, sentita la Commissione, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

4.A decorrere dalla data della stipulazione delle convenzioni di cui al comma 1, e comunque a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, cessano le attività del CONI in materia di controllo sul laboratorio di analisi operante presso il Comitato medesimo.

Art. 5.
(Competenze delle regioni)
1.Le regioni, nell’ambito dei piani sanitari regionali, programmano le attività di prevenzione e di tutela della salute nelle attività sportive, individuano i servizi competenti, avvalendosi dei dipartimenti di prevenzione, e coordinano le attività dei laboratori di cui all’articolo 4, comma 3.

Art. 6.
(Integrazione dei regolamenti degli enti sportivi)
1.Il CONI, le federazioni sportive, le società affiliate, le associazioni sportive, gli enti di promozione sportiva pubblici e privati sono tenuti ad adeguare i loro regolamenti alle disposizioni della presente legge, prevedendo in particolare le sanzioni e le procedure disciplinari nei confronti dei tesserati in caso di doping o di rifiuto di sottoporsi ai controlli.

2.Le federazioni sportive nazionali, nell’ambito dell’autonomia riconosciuta loro dalla legge, possono stabilire sanzioni disciplinari per la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e per l’adozione o sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, anche nel caso in cui questi non siano ripartiti nelle classi di cui all’articolo 2, comma 1, a condizione che tali farmaci, sostanze o pratiche siano considerati dopanti nell’ambito dell’ordinamento internazionale vigente.

3.Gli enti di cui al comma 1 sono altresì tenuti a predisporre tutti gli atti necessari per il rispetto delle norme di tutela della salute di cui alla presente legge.

4.Gli atleti aderiscono ai regolamenti di cui al comma 1 e dichiarano la propria conoscenza ed accettazione delle norme in essi contenute.

5.Il CONI, le federazioni sportive nazionali e gli enti di promozione dell’attività sportiva curano altresì l’aggiornamento e l’informazione dei dirigenti, dei tecnici, degli atleti e degli operatori sanitari sulle problematiche concernenti il doping. Le attività di cui al presente comma sono svolte senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 7.
(Farmaci contenenti sostanze dopanti)
1.I produttori, gli importatori e i distributori di farmaci appartenenti alle classi farmacologiche vietate dal CIO e di quelli ricompresi nelle classi di cui all’articolo 2, comma 1, sono tenuti a trasmettere annualmente al Ministero della sanità i dati relativi alle quantità prodotte, importate, distribuite e vendute alle farmacie, agli ospedali o alle altre strutture autorizzate di ogni singola specialità farmaceutica.

2.Le confezioni di farmaci di cui al comma 1 devono recare un apposito contrassegno il cui contenuto è stabilito dalla Commissione, sull’involucro e sul foglio illustrativo, unitamente ad esaurienti informazioni descritte nell’apposito paragrafo "Precauzioni per coloro che praticano attività sportiva".

3.Il Ministero della sanità controlla l’osservanza delle disposizioni di cui al comma 2 nelle confezioni dei farmaci all’atto della presentazione della domanda di registrazione nazionale, ovvero all’atto della richiesta di variazione o in sede di revisione quinquennale.

4.Le preparazioni galeniche, officinali o magistrali che contengono principi attivi o eccipienti appartenenti alle classi farmacologiche vietate indicate dal CIO e a quelle di cui all’articolo 2, comma 1, sono prescrivibili solo dietro presentazione di ricetta medica non ripetibile. Il farmacista è tenuto a conservare l’originale della ricetta per sei mesi.

Art. 8.
(Relazione al Parlamento)
1.Il Ministro della sanità presenta annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della presente legge, nonché sull’attività svolta dalla Commissione.

Art. 9.
(Disposizioni penali)
1.Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste all’articolo 2, comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze.

2.La pena di cui al comma 1 si applica, salvo che il fatto costituisca più grave reato, a chi adotta o si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle classi previste all’articolo 2, comma 1, non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero dirette a modificare i risultati dei controlli sul ricorso a tali pratiche.

3.La pena di cui ai commi 1 e 2 è aumentata
  1. Se dal fatto deriva un danno per la salute
  2. Se il fatto è commesso nei confronti di un minorenne
  3. Se il fatto è commesso da un componente o da un dipendente del CONI ovvero di una federazione sportiva nazionale, di una società, di un’associazione o di un ente riconosciuti dal CONI
  4. Se il fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, alla condanna consegue l’interdizione temporanea dall’esercizio della professione
  5. Nel caso previsto dal comma 3, lettera c), alla condanna consegue l’interdizione permanente dagli uffici direttivi del CONI, delle federazioni sportive nazionali, società, associazioni ed enti di promozione  riconosciuti dal CONI
  6. Con la sentenza di condanna è sempre ordinata la confisca dei farmaci, delle sostanze farmaceutiche e delle altre cose servite o destinate a commettere il reato.
  7. Chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi di cui all’articolo 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle  farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente, destinati alla utilizzazione sul paziente, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 10 milioni a lire 150 milioni.
Art. 10.
(Copertura finanziaria)
1.Gli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo 3, valutati in lire 2 miliardi annue, e dell’articolo 4, valutati in lire un miliardo annue, a decorrere dall’anno 2000, sono posti a carico del CONI. L’importo corrispondente ai predetti oneri è versato dal CONI all’entrata del bilancio dello Stato entro il 31 marzo di ciascun anno e, in sede di prima applicazione, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

2.L’importo versato all’entrata del bilancio dello Stato ai sensi del comma 1 è riassegnato ad apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero della sanità.

3.Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

PARERI ESTERI

Nash Equilibrium, the Omerta Rule, and Doping in Cycling
by Michael Shermer, Jul 13 2010

The Tour de France is underway and it is already shaping up to be one of the grandest and most epic races in the event’s century-long history. If you haven’t seen a stage yet be sure to tune into the Versus Network that covers it every day, with repeat airings all day and evening. Lance is still in contention even after several crashes. In fact, I’ve never seen so many crashes in a Tour before. This event is so hard it is not surprising that, as usual, allegations and suspicions of doping have surrounded the race even before it began. Unfortunately, it appears that doping has long been a part of this — and many other — sports. Here is my explanation for why athletes in general and cyclists (my sport) in particular dope, why race organizations have such a hard time enforcing the rules, and what can be done about it.
In criminal organizations such as the Cosa Nostra in 19th century Sicily and the Mafia in 20th century southern Italy, the “omerta rule” is the code of silence, a tacit agreement among cohort members that the collective violation of the law means if you get caught you keep your mouth shut and under no circumstances cooperate with the authorities. The penalty for an omerta betrayal is ultimate and final — death.
Something like the omerta rule operates in the dark and dirty underbelly of doping in sports, or the employment of performance enhancing drugs (PEDs) against the rules (and in some cases the law), in which a positive test leads to an obligatory statement of shock and denial by the guilty party, followed by a plausible explanation for how the drug mysteriously appeared in the blood or urine, ending in fines paid and/or time served and eventual return to the sport, no names named and no further questions asked.

After testing positive for steroids following his 2006 Tour de France victory, Floyd Landis obeyed the omerta rule, albeit in grander style than most, publishing a bestselling book, Positively False: The Real Story of How I Won the Tour de France, raising upwards of $600,000 for a legal defense fund, and taking his case to sports arbitration. The three-time Tour de France champion Greg LeMond told me in a phone conversation during the arbitration trial that Landis consulted him about what to do next, at which point LeMond encouraged him to come clean. “What would I gain doing that?,” LeMond recalled Landis saying. “You would clear your conscience and help save cycling,” LeMond replied.

Three years later Landis has apparently decided to take LeMond’s advice, confessing during the recent Tour of California that the “real story” of how he — and Lance Armstrong — won the Tour de France is drugs, lots and lots of PEDs: recombinant Erythropoietin (r-EPO) to artificially stimulate the production of oxygen carrying red blood cells, steroids and human growth hormone for recovery and the development of lean muscle mass, and blood boosting, or withdrawing your own blood early in the season and then re-injecting it during the Tour de France to boost red blood cell count with your own blood (thereby sidestepping the test for EPO while gaining a comparable advantage). In published emails Landis defiantly slapped the omerta rule across the face, naming names and providing details:
“I was instructed on how to use Testosterone patches by [Team Director] Johan Bruyneel”
“Mr Armstrong was not witness to the [blood] extraction but he and I had lengthy discussions about it on our training rides during which time he also explained to me the evolution of EPO testing and how transfusions were now necessary due to the inconvenience of the new test.”
Armstrong “tested positive for EPO at which point he and Mr Bruyneel flew to the UCI headquarters and made a financial agreement with Mr. Vrubrugen to keep the positive test hidden.”
“During that Tour de France I personally witnessed George Hincapie, Lance Armstrong, Chechu Rubiera, and myself receiving blood transfusions. Also during that Tour de France the team doctor would give my room mate, George Hincapie and I a small syringe of olive oil in which was disolved andriol, a form of ingestible testosterone on two out of three nights throughout the duration.”
It’s a good thing for Landis that the penalty for an omerta rule violation in sports is not what it is in the Mafia, or else he’d be the Luca Brasi of cycling and sleeping with the fishes. Why did Landis break the code of silence? The answer to this question, along with the larger question of why athletes dope, comes from game theory and something called Nash equilibrium, discovered by the Nobel Prize-winning mathematician John Nash (of Beautiful Mind fame), in which two or more players in a contest reach an equilibrium where neither one has anything to gain by unilaterally changing strategies. If each player has selected a tactic such that no player can benefit by changing tactics while the other players hold to their plans, then that particular arrangement of strategy choices is said to have reached a point of equilibrium.

Here’s how it works in sports. The point of an athletic contest is to win, and players will do whatever they can to achieve victory, which is why well-defined and strictly enforced rules are the sine qua non of all sports. The rules clearly prohibit the use of PEDs, but because the drugs are extremely effective and the payoffs for success are so high, and because most of the drugs are difficult if not impossible to detect, or the tests can be beat with countermeasures, or the governing body of the sport itself doesn’t fully support a comprehensive anti-doping testing program (as in the case of Major League Baseball and the National Football League), the incentive to dope is powerful. Once a few elite athletes in a sport defect to gain an advantage over their competitors, they too must defect (even if they only think others are doping), leading to a cascade of defection down through the ranks.

If everyone is doping there is equilibrium if and only if everyone has something to lose by violating the tacit omerta agreement. Disequilibriums can arise when not everyone is doping, or when the drug testers begin to catch up with the drug takers, or when some cheaters have nothing to lose and possibly something to gain by turning state’s evidence.
Which brings us back to Floyd Landis and Lance Armstrong, who for a decade have been in a state of relative Nash equilibrium. But when Landis lost his savings, his home, his marriage, and his livelihood, he reached a state of disequilibrium, and when he was turned down from even riding in the Tour of California after, according to Armstrong, making threats to the race organizers to let him in “or else,” he apparently decided to make good on his threat.

There is nothing more important for a sporting organization to do than to enforce the rules. If you don’t, athletes will cheat. Anyone who believes otherwise does not understand sports or human nature. As Landis explained in his confessional: “I don’t feel guilty at all about having doped. I did what I did because that’s what we [cyclists] did and it was a choice I had to make after 10 years or 12 years of hard work to get there, and that was a decision I had to make to make the next step. My choices were, do it and see if I can win, or don’t do it and I tell people I just don’t want to do that, and I decided to do it.”

Solutions
The only hope of salvaging professional sports is to change the game matrix. To that end I have five recommendations:
1.Immunity for all athletes pre-2010. Since the entire system is corrupt and most competitors have been doping, it accomplishes nothing to strip the winner of his title after the fact when it is almost certain that the runners’ up were also doping. Immunity will enable retired athletes to work with governing bodies and anti-doping agencies for improving the anti-doping system.

2.Increase the number of competitors tested, in competition, out-of-competition, and especially immediately before or after a race to prevent counter-measures from being employed. Sport sanctioning bodies should create a baseline biological profile on each athlete before the season begins to allow for proper comparison of unusual spikes in performance in competition.

3.An X-Prize type reward to increase the incentive of anti-doping scientists to develop new tests for presently undetectable doping agents, in order to equalize the incentive for drug testers to that of drug takers.

4.Increase substantially the penalty for getting caught. A 50-game ban on Manny Ramirez last year was a joke. No Major League player will take that seriously as a deterrent. Professional cycling has a two-year ban, which is a good start. But it’s not enough.

5.A return of all salary paid and prize monies earned by the convicted athlete to the team and/or its sponsors and investors, and extensive team testing of their own athletes.

Cycling is ahead of all other sports in implementing these and other preventative measures, and still some doping goes on, so vigilance is the watchword for fairness along with freedom.


IL DILEMMA DEL DOPING

Ecco la traduzione integrale dell'articolo di Michael Shermer


- La teoria dei giochi aiuta a capire perché l'uso di sostanze proibite è molto diffuso nel ciclismo, nel baseball e in molti altri sport. –

Per un ciclista non c'è niente di più demoralizzante che essere superato da un avversario su una salita. Con i polmoni e le gambe allo stremo, curvo sul manubrio, il ciclista sa che deve rimanere con il gruppo dei primi, perché se perderà il contatto la sua motivazione sfumerà insieme alle speranze di vittoria.

Conosco questa sensazione, perché l'ho dovuta affrontare nel 1985 sulla lunga salita dopo Albuquerque durante la Great American Bike Race, una gara di quasi 5000 chilometri che attraversa gli Stati Uniti. Appena fuori dalla città avevo raggiunto il secondo, Jonathan Boyer (che poi vinse), il primo statunitense a partecipare al Tour de France. Verso metà di quella salita spaccagambe ho iniziato ad accusare la fatica muscolare e ad annaspare nel disperato tentativo di resistere, ma inutilmente. Arrivato in cima, Boyer era già un puntino all'orizzonte, e non l'ho più rivisto fino al traguardo. Più tardi un cronista mi avrebbe chiesto che cos'altro avrei potuto fare per andare più veloce. «Scegliere genitori migliori», ho risposto scherzando. Tutti abbiamo limiti genetici, ho poi spiegato, che non si possono superare con l'allenamento. Ma davvero non c'era nient'altro che avrei potuto fare?

In realtà avrei potuto fare parecchie cose, e lo sapevo benissimo. I membri della squadra che aveva partecipato alle Olimpiadi del 1984 mi avevano detto di essersi iniettati sangue prima delle gare, sia loro (prelevato in precedenza) sia di altre persone con lo stesso gruppo sanguigno. All'epoca, la pratica, conosciuta come doping ematico, non era proibita, e dal punto di vista etico era considerata come un allenamento in alta quota. Entrambi i metodi portano a un aumento del numero dei globuli rossi, migliorando il trasporto dell'ossigeno. Io però avevo già trent'anni, e dovevo ricominciare a pensare alla mia carriera accademica. Inoltre avevo iniziato a praticare il ciclismo più che altro per scoprire i miei limiti, quindi l'idea di migliorare artificialmente le prestazioni non aveva nulla a che vedere con le mie ragioni per correre.

Ma immaginiamo che avessi avuto vent'anni e che il ciclismo fosse stato il mio lavoro e la mia passione, senza altre prospettive di carriera. Immaginiamo anche che la mia squadra avesse nel «programma medico» alcune sostanze per migliorare le prestazioni e che mi avrebbe tagliato fuori se non fossi stato abbastanza competitivo. Supponiamo, infine, che fossi stato certo che tutti i miei avversari facessero uso di doping e che i controlli fossero quasi sempre inefficaci.

Questo scenario, in pratica, è quello che molti ciclisti professionisti si sono trovati ad affrontare a partire dai primi anni novanta. I dettagli possono cambiare per altri sport, per esempio il baseball, ma le circostanze generali che portano al doping sono molto simili. Molti giocatori sono convinti che, poiché «tutti» usano sostanze dopanti, per restare competitivi devono adeguarsi. Sul versante del governo del fenomeno, poi, la Major League Baseball, la lega professionistica di baseball nordamericana, non è riuscita a stabilire regole chiare e, soprattutto, non è riuscita a farle rispettare, facendo test sugli atleti per tutta la durata della stagione. Questo fatto, unito alla storica tendenza a «voltarsi dall'altra parte», ha creato il terreno per la diffusione del doping.

Naturalmente nessuno di noi è disposto a credere che tutti gli atleti siano dopati. Eppure i dati fanno pensare che nel ciclismo, nel baseball, nel football americano e nell'atletica leggera quasi tutti i migliori atleti degli ultimi vent'anni abbiano fatto uso di sostanze dopanti per migliorare le prestazioni. Ormai non è più tempo di chiedersi «se», ma «perché». Le ragioni sono tre: sostanze, cocktail e programmi di assunzione migliori; la continua scoperta di nuovi sistemi per eludere i controlli; un cambiamento del livello professionale in molti sport che ha reso più conveniente barare che stare alle regole.

Teoria del gioco

La teoria dei giochi studia il modo in cui i partecipanti a un gioco scelgono la strategia che massimizza il proprio guadagno considerando le mosse degli avversari. I «giochi» per cui è stata creata questa teoria non sono solo quelli d'azzardo o gli sport in cui la tattica ha un ruolo predominante, ma anche ambiti molto più seri, come quello economico, militare o diplomatico. Tutti questi «giochi» hanno in comune che le «mosse» di ciascun giocatore sono analizzate in base alle opzioni disponibili per gli altri giocatori.

L'esempio più classico è il dilemma del prigioniero: tu e il tuo complice siete arrestati per un reato, e poi siete tenuti in isolamento in celle separate. Vi eravate accordati in anticipo di non parlare, ma gli investigatori presentano a ciascuno di voi le seguenti opzioni:

1. Se tu confessi ma l'altro prigioniero non confessa, tu sei libero e lui si prende tre anni di prigione.

2. Se l'altro prigioniero confessa e tu non parli, tu prendi tre anni di prigione e lui è libero.

3. Se entrambi confessate, vi prendete due anni a testa.

4. Se entrambi rimanete zitti, vi prendete un anno a testa.

Secondo questi risultati, la scelta più logica è tradire l'accordo iniziale e confessare. Consideriamo le opzioni dal punto di vista del primo prigioniero: l'unica cosa che non può controllare riguardo l'esito finale è la scelta del secondo prigioniero. Supponiamo che quest'ultimo non confessi. In questo caso, se il primo prigioniero confessa ottiene il payoff (guadagno) «tentazione» (niente prigione); se rimane zitto, rimedia solo un anno di prigione. Supponiamo, invece, che il secondo prigioniero confessi. Ancora una volta, al primo prigioniero conviene confessare (due anni di prigione) anziché rimanere zitto (il payoff «del babbeo», tre anni di prigione). In definitiva, poiché per entrambi i prigionieri le circostanze sono identiche, a entrambi conviene confessare, indipendentemente da quello che decide l'altro.

Queste preferenze non sono solo teoriche. Quando le persone in carne e ossa giocano una sola o un numero finito di volte senza poter comunicare, la confessione è la strategia più frequente. Quando però giocano per un numero indefinito di volte, la strategia più comune è il tit for tat («pan per focaccia»): ciascuno comincia rispettando l'accordo, e non confessa; poi, però, replica le mosse dell'altro giocatore. La cooperazione diventa anche più accentuata nei casi di dilemma del prigioniero con più di due giocatori, a patto però che il gioco sia ripetuto un numero di volte sufficiente a stabilire fiducia reciproca. Le ricerche, tuttavia, indicano che una volta che la confessione prende piede si propaga a tutto il gioco.

Nel ciclismo, nel baseball e in altri sport gli atleti competono seguendo un complesso di regole. Le regole del ciclismo, per esempio, vietano l'uso di sostanze che migliorino le prestazioni. Tuttavia la grande efficacia di queste sostanze, il fatto che molte siano difficili (se non impossibili) da rilevare e i grandi vantaggi che si possono ottenere in termini di successo sono un potente incentivo. Una volta che alcuni tra i migliori ciclisti violano le regole e si dopano, ottenendo un vantaggio, anche i loro avversari sono costretti a fare lo stesso, innescando una cascata poco virtuosa che si propaga a tutti i ciclisti. Ma visto che le regole sono chiare si crea un'omertà che impedisce di comunicare e di cooperare per ritornare al rispetto delle regole, invertendo la tendenza all'uso del doping.

In effetti questa tendenza non si è mai verificata. Molti atleti hanno preso stimolanti e antidolorifici dagli anni quaranta agli anni ottanta, ma i regolamenti antidoping sono stati praticamente inesistenti fino al caso di Toni Simpson, un ciclista britannico morto per un'overdose di anfetamine durante la scalata del Mont Ventoux, al Tour de France del 1967. Anche dopo la morte di Simpson, negli anni settanta e ottanta i controlli sono stati molto sporadici. In mancanza di un senso chiaro delle regole, pochi consideravano il doping antisportivo. Poi, negli anni novanta, è successo qualcosa che ha alterato la matrice del gioco.

L'elisir EPO

Quel «qualcosa» era l'eritropoietina ricombinante ingegnerizzata geneticamente, o r-EPO. L'EPO è un ormone prodotto dal corpo umano: i reni lo rilasciano nel sangue, che lo trasporta a recettori del midollo osseo; quando le molecole di EPO si legano ai recettori, alcuni cambiamenti chimici segnalano al midollo di produrre più globuli rossi. Sia l'insufficienza renale cronica che la chemioterapia possono causare anemia, per cui alla fine degli anni ottanta lo sviluppo dell'r-EPO in sostituzione dell'EPO ha avuto un successo strepitoso tra i malati cronici di anemia. E anche tra gli atleti professionisti.

Assumere r-EPO ha la stessa efficacia di una trasfusione di sangue, con la differenza che l'atleta, invece di dover armeggiare con sacche di sangue e lunghi aghi da inserire in vena, può conservare piccole ampolle con la sostanza in un thermos o nel frigobar di un albergo e iniettarsela sottopelle. L'effetto dell'r-EPO a cui gli atleti sono interessati è misurabile: si tratta del livello di ematocrito (HCT), ossia la percentuale in volume di globuli rossi nel sangue. Più numerosi sono i globuli rossi, più ossigeno è trasportato ai muscoli. Per gli uomini, il valore normale dell'HCT è intorno al 45 per cento, ma un atleta allenato può portare i valori naturali oltre il 50 per cento. L'EPO può spingere questi valori fino al 60 per cento e oltre. E vincitore del Tour de France del 1996, Bjarne Riis, era soprannominato «Mister 60 per cento»; l'anno scorso ha confessato di aver ottenuto valori dell'HCT così elevati proprio grazie all'r-EPO.

Questa sostanza si è diffusa nel ciclismo professionista all'inizio degli anni novanta. Secondo Greg LeMond, tre volte vincitore del Tour de France, è stato nel 1991. Avendo già vinto il Tour nel 1986, 1989 e 1990, LeMond era deciso a battere il record di cinque vittorie, e nella primavera del 1991 sembrava pronto a ottenere il suo quarto trionfo. «Non ero mai stato così in forma, i tempi in allenamento erano i più veloci di tutta la mia carriera e avevo un'ottima squadra», mi ha confessato LeMond. «Ma qualcosa è andato storto, nel Tour del 1991. C'erano ciclisti che negli anni precedenti non riuscivano a starmi dietro e che ora mi staccavano anche sulle salite più facili».

Quell'anno LeMond è arrivato settimo, giurando che l'anno successivo avrebbe vinto senza usare alcuna sostanza. Ma purtroppo non è avvenuto. «Nel 1992 - ha continuato - la nostra prestazione è stata pessima, e non sono nemmeno riuscito a concludere la gara». I ciclisti puliti, infatti, si sfiancavano subito nel tentativo di stare dietro a quelli dopati. LeMond riferisce una storia che gli ha raccontato Philippe Casado, uno dei suoi compagni di squadra dell'epoca. Casado aveva sentito da Laurent Jalabert, del team spagnolo ONCE, che il suo programma personale di doping era stato interamente organizzato dalla squadra. Il programma, ha detto LeMond, comprendeva l'r-EPO, che LeMond stesso si è rifiutato di prendere, non riuscendo a concludere la gara nemmeno quell'anno. Era il 1994, e sarebbe stato il suo ultimo Tour.

Alcuni di quelli che hanno ceduto alle pressioni sono finiti male. Casado, per esempio, ha lasciato la squadra di LeMond per un'altra che aveva un programma di doping. È morto per un arresto cardiaco nel 1995, all'età di trent'anni. Se la sua morte sia stata causata direttamente dal doping, non è dato saperlo. Ma quando l'HCT raggiunge o supera il 60 per cento il sangue diventa molto denso, favorendo la formazione di trombi. Il pericolo aumenta in particolare durante il sonno, quando diminuisce la frequenza del ritmo cardiaco, soprattutto in atleti impegnati in discipline di resistenza: per loro il battito a riposo può scendere intorno ai 30 battiti al minuto. Dopo la morte per arresto cardiaco di due ciclisti olandesi che avevano sperimentato l'r-EPO, alcuni ciclisti dissero di aver dormito con un sensore del ritmo cardiaco collegato a un allarme che scattava quando il parametro scendeva troppo. Se l'allarme suonava, si alzavano e facevano qualche esercizio per riaccelerare il battito.

Intrappolati in una gara senza fine

Come in natura c'è una gara senza fine tra predatori e prede, allo stesso modo nello sport gli atleti che si dopano sono in continua competizione con chi effettua i controlli. Secondo me, gli ispettori sono cinque anni indietro rispetto agli atleti, e lo saranno sempre. Chi trae vantaggi dall'infrangere le regole sarà sempre più creativo rispetto a chi deve farle rispettare, a meno che non si incentivino efficacemente anche questi ultimi. Nel 1997, quando ancora non esisteva il test per l'r-EPO (introdotto nel 2001), l'Unione ciclistica internazionale (UCI), l'organizzazione che coordina le federazioni dei vari paesi, aveva stabilito un limite del 50 per cento per l'HCT. Subito dopo, i ciclisti avevano scoperto che potevano spingersi oltre il 50 per cento e poi diluire il sangue al momento del test con una tecnica permessa e già in uso: iniezioni di soluzione salina, normalmente usate per reidratarsi.

Nel suo libro-rivelazione Massacro alla catena (Bradipolibri, Torino, 2002), Willy Voet, massaggiatore tuttofare del team Festina durante gli anni novanta, spiega come superava i controlli:

«Nel caso i medici dell'UCI fossero arrivati al mattino per controllare l'ematocrito dei corridori, preparavo tutto l'occorrente per superare i test. Salivo nelle camere dei ciclisti con flebo di sodio... La trasfusione durava 20 minuti; la soluzione salina diluiva il sangue, riducendo il livello di ematocrito di tre punti. Quanto bastava. Erano sufficienti due minuti per inserire le flebo, per cui potevamo effettuare le trasfusioni mentre i medici aspettavano nella hall che i ciclisti scendessero».

Come sono cambiate le strategie dopo l'introduzione delle nuove regole? Ho girato la domanda a Joe Papp, professionista di 32 anni interdetto dalle gare per due anni dopo essere risultato positivo al testosterone sintetico. Papp mi ha spiegato come una scelta morale diventi in realtà una scelta di tipo economico: «Quando entri in una squadra che ha già un programma di doping, ti viene posta una semplice scelta: se prendi quelle sostanze, rimani competitivo; se non le prendi, ci sono buone probabilità che non avrai alcun futuro nel ciclismo».

Quando Papp ha confessato è stato punito con un'interdizione di due anni, e le conseguenze sociali sono state anche peggiori. «Il ciclismo mi ha buttato fuori», si è lamentato. «In squadra si diventa come fratelli, ma in una squadra di atleti dopati c'è un legame in più dato dal segreto condiviso e dall'omertà che questo comporta. Se ti beccano, devi tenere la bocca chiusa. Nel momento in cui ho confessato sono stato rinnegato dai miei amici perché, dal loro punto di vista, li stavo mettendo in pericolo. Uno mi ha addirittura chiamato dicendo che mi avrebbe ucciso se avessi rivelato che si dopava».

Papp, però, non era un ciclista particolarmente competitivo: quindi ho pensato che la matrice del gioco, con le relative implicazioni per la carriera, doveva essere diversa per i ciclisti di alto livello. Ma mi sbagliavo. Ecco che cosa racconta Frankie Andreu, gregario di Lance Armstrong: «Per anni non ho avuto problemi nel fare il mio lavoro di supporto. Poi, intorno al 1996, la velocità delle gare è aumentata improvvisamente. Non era dovuto solo agli allenamenti, era successo qualcosa». Andreu ha resistito il più a lungo possibile, ma nel 1999 non era più in grado di svolgere il suo lavoro: «Mi ero reso conto che la maggior parte dei ciclisti di alto livello usava sostanze dopanti e che anch'io dovevo darmi da fare». Ha iniziato a iniettarsi r-EPO due tre volte alla settimana. «Non è come la Red Bull, che ti dà subito energia, però ti permette di restare con il gruppo un po' più a lungo, di andare magari a 50 chilometri all'ora invece che a 48».

Sostanze che fanno la differenza

In una gara sfiancante di tre settimane come il Tour, l'r-EPO è vantaggiosa perché aumenta i valori di HCT e li mantiene alti a lungo. Jonathan Vaughters, ex compagno di squadra di Armstrong, mi ha fornito alcune cifre: «Il grande vantaggio del doping ematico è che mantiene l'HCT al 44 per cento per tre settimane». Se un atleta «pulito» inizia la gara con un HCT del 44 per cento, spiega Vaughters, probabilmente finirà, dopo tre settimane, al 40 per cento, a causa della naturale diluizione del sangue e della perdita di globuli rossi. «Il solo fatto di stabilizzare l'HCT al 44 per cento ti dà un vantaggio del dieci per cento».

Gli studi sugli effetti del doping sono pochi, e in genere condotti su non atleti o su atleti dilettanti. Ma confermano le parole di Vaughters. I medici sportivi sono concordi nel ritenere che l'r-EPO migliora le prestazioni di almeno il 5-10 per cento. Quando poi è assunta con altre sostanze, le prestazioni possono aumentare di un ulteriore 5-10 per cento. In eventi sportivi in cui tutto si gioca su differenze di meno dell'1 per cento, è un vantaggio enorme.

Michele Ferrari, medico sportivo italiano esperto di doping (personaggio controverso, vista la sua vicinanza con professionisti positivi ai controlli o comunque sospetti), lo spiega così: «Se il volume di globuli rossi aumenta del 10 per cento, la prestazione [il guadagno netto del ciclista in termini di produzione di energia cinetica utile] migliora del 5 per cento circa. Questo significa guadagnare circa 1,5 secondi al chilometro per un ciclista che viaggia a 50 chilometri all'ora in una tappa a cronometro, o circa 8 secondi al chilometro per un ciclista che scala a 10 chilometri all'ora una pendenza del 10 per cento».

In un Tour de France questi numeri implicano che se un ciclista aumenta l'HCT del 10 per cento guadagnerà 75 secondi in una cronometro di 50 chilometri, dove in genere si vince sul filo dei secondi. Su una salita di 10 chilometri con pendenza del 10 per cento, come ce ne sono tante sulle Alpi o sui Pirenei, il vantaggio sarebbe di 80 secondi. Se un ciclista di punta inizia a usare sostanze dopanti, nessun avversario può permettersi di lasciargli questo margine. È qui che la matrice del gioco inizia a tendere verso il tradimento.

L'equilibrio di Nash

Nella teoria dei giochi, una situazione in cui nessun giocatore ha qualcosa da guadagnare cambiando unilateralmente la propria strategia è definita equilibrio di Nash, concetto introdotto dal matematico John Nash. Per mettere fine al doping, il gioco si dovrebbe ristrutturare in modo che la competizione pulita sia in una situazione di equilibrio di Nash. Nella matrice del gioco, gli organi di controllo dovrebbero cambiare i valori di payoff. Quando gli altri giocatori rispettano le regole, il payoff per fare altrettanto deve essere maggiore rispetto al payoff che si ottiene barando. E anche quando gli altri giocatori barano il payoff che si ottiene rispettando le regole deve essere maggiore rispetto al payoff che si ottiene barando. I giocatori, insomma, non devono vedere come uno svantaggio il fatto di seguire le regole.

Nel dilemma del prigioniero, abbassare il payoff della confessione e aumentare il payoff del silenzio nel caso l'altro prigioniero confessi aumenta la cooperazione. Ma il modo più efficace per aumentare la cooperazione tra i giocatori è farli comunicare prima di iniziare il gioco. Nello sport, questo significherebbe rompere l'omertà. Tutti devono ammettere che il problema esiste. Successivamente vanno eseguiti i controlli, e i risultati vanno comunicati regolarmente e in maniera trasparente a tutti, finché danno esito negativo. In questo modo si dimostrerebbe che il payoff del rispetto delle regole è maggiore di quello relativo al doping, indipendentemente da quello che fanno gli altri.

Ecco i miei suggerimenti perché il ciclismo e gli altri sport raggiungano un equilibrio di Nash in cui nessuno è incentivato a infrangere le regole:

- Immunità a tutti per il doping assunto in passato (prima del 2008). L'intero sistema è corrotto, e quasi tutti hanno fatto uso di doping, non serve a niente togliere il titolo al vincitore quando è quasi sicuro che anche gli altri erano dopati. L'immunità permetterà agli atleti ormai ritirati dalle gare di contribuire a migliorare il sistema antidoping.

- Aumentare il numero degli atleti sottoposti a test, in gara e fuori gara, soprattutto immediatamente prima e dopo le gare, per impedire l'uso di contromisure e trucchi. I test dovrebbero essere svolti da agenzie indipendenti non affiliate con organi di controllo ufficiali, atleti, sponsor o squadre. Le squadre dovrebbero inoltre rivolgersi ad agenzie di controllo indipendenti, con un test delle prestazioni prima dell'inizio della stagione per creare un profilo di riferimento. Gli sponsor dovrebbero fornire un sostegno economico aggiuntivo per far sì che i test siano rigorosi.

- Stabilire una ricompensa per gli scienziati che sviluppano test per nuove sostanze, in modo che l'incentivo per chi controlla sia uguale o superiore a quello di chi è sottoposto ai controlli.

- Aumentare considerevolmente le sanzioni: un test positivo e si è fuori per sempre. Per proteggere gli atleti dal rischio di falsi positivi o da ispettori poco competenti, i tribunali sportivi devono essere equi e affidabili. Ma, una volta presa una decisione, deve essere sostanziale e definitiva.

- Squalificare tutti i membri di una squadra se uno solo è positivo. Obbligare l'atleta a restituire tutto il denaro ricevuto come stipendio o dagli sponsor. Sfruttando la psicologia di gruppo, la minaccia di questa sanzione pressa tutti gli atleti, incentivandoli a rispettare i regolamenti.

Potrebbe sembrare un'utopia, ma può funzionare. Vaughters, oggi direttore del team Slipstream/Chipotle, ha già avviato un programma periodico di controlli interni. «Questi ragazzi sono atleti, non criminali», afferma. «Se si convincono che gli altri stanno smettendo, e lo vedono nei tempi dei corridori più forti, smetteranno anche loro, e sarà un sollievo per tutti».

La speranza non muore mai. Ma credo che questi cambiamenti riporterebbero la psicologia del gioco dal tradimento alla cooperazione. Se questo avvenisse, lo sport ritornerebbe a quando era l'eccellenza delle prestazioni, alimentata unicamente dal desiderio di vittoria, a essere premiata e celebrata.

Michael Shermer

(«Le Scienze» n. 478/08)

ARTICOLO DI "LE SCIENZE"

Il dilemma del doping

La teoria dei giochi aiuta a capire perché l'uso di sostanze proibite è molto diffuso nel ciclismo, nel baseball e in molti altri sport. Di Michael Shermer


(Per chi mastica poco la lingua inglese ecco un breve riassunto del post pubblicato sopra)

Negli ultimi anni, in un numero preoccupante di sport (baseball, football americano, atletica e, soprattutto ciclismo, si sono avuti scandali legati al doping.

Ormai non è più tempo di chiedersi “se”, ma “perché”. Le ragioni sono tre: sostanze, cocktail, programmi di assicurazione migliori; la continua scoperta di nuovi sistemi per eludere i controlli; un cambiamento del livello professionale di molti sport che ha reso più conveniente barare che stare alle regole.

La teoria dei giochi studia il modo in cui i partecipanti scelgono la strategia che massimizza il proprio guadagno considerando le mosse degli avversari. Questi giochi hanno in comune il fatto che le mosse di ciascun giocatore sono analizzate in base alle opzioni disponibili per gli altri giocatori.

Nel ciclismo, nel baseball e in altri sport gli atleti competono seguendo un complesso di regole.
Le regole del ciclismo vietano l’uso di sostanze che migliorino le prestazioni, tuttavia la grande efficacia di queste, il fatto che molte siano difficili, se non impossibili da rilevare e i grandi vantaggi che si possono ottenere in termini di successo sono un potente incentivo.
Nella lunga lista di sostanze vietate ai ciclisti, la più efficace è l’eritropoietina ricombinante (r- EPO), un ormone artificiale che stimola la produzione di globuli rossi, aumentando la quantità di ossigeno disponibile ai muscoli.
Assumere r-Epo ha la stessa efficacia di una trasfusione di sangue, con la differenza che l’atleta, non deve armeggiare con sacche di sangue e lunghi aghi da inserire in vena.
Inoltre, l’effetto dell’r-EPO è misurabile, si tratta del livello di ematocrito (HCT), ossia la percentuale in volume di globuli rossi nel sangue. Più numerosi sono i globuli rossi, più ossigeno è trasportato ai muscoli.
Per gli uomini il valore normale dell’HCT è intorno al 45%, ma un atleta allenato può portare i valori naturali oltre il 50%. L’EPO può spingere questi valori fino al 60% e oltre.
Quando l’HCT raggiunge o supera il 60%, il sangue diventa molto denso, favorendo la formazione di trombi. Il pericolo aumenta in particolare durante il sonno, quando diminuisce la frequenza del ritmo cardiaco, soprattutto in atleti impegnati in discipline di resistenza: per loro il battito a riposo può scendere intorno ai 30 battiti al minuto.

Gli atleti, ciclisti e di altre discipline sportive, sono incentivati a usare il doping, le probabilità di essere scoperti sono basse. Per questo, a seconda dello sport e della fase della propria carriera, spesso il gioco vale la candela.
In tutti gli sport, se gli atleti migliori iniziano a trasgredire l’effetto si propaga a tutti gli altri, finchè l’intera disciplina è corrotta.
Gli studi sull’effetto del doping sono pochi, in genere condotti su non atleti o su atleti dilettanti, tuttavia i medici sportivi sono concordi nel ritenere che sostanze come l’r-EPO migliora le prestazioni del 5-10% e che può essere fatale.

Lance Williams, giornalista del San Francisco Chronicle e coautore (insieme a Mark Fainaru-Wada) del libro Game of Shadows, ha realizzato inchieste e interviste ad atleti, allenatori, tecnici, trafficanti di sostanze e ispettori antidoping, dai risultati emerge che il 50-80% dei giocatori di baseball e di altri professionisti fa uso di sostanze proibite.
Spiega Williams, per molti il doping non solo non è una frode, ma è addirittura necessario. Rispetto a quanto potrebbero fare le federazioni e gli organismi di controllo, Williams suggerisce sanzioni più pesanti sia contro gli atleti, sia contro l’intera squadra, oltre a sanzioni penali più severe.

Nella teoria dei giochi, una situazione in cui nessun giocatore ha qualcosa da guadagnare cambiando unilateralmente la propria strategia è definita Nash. Per mettere fine al doping, secondo Williams, il gioco si dovrebbe ristrutturare in modo che la competizione pulita sia una situazione di equilibrio di Nash.

I suggerimenti dell’autore affinché il ciclismo e gli altri sport raggiungano un equilibrio di Nash in cui nessuno è incentivato a infrangere le regole sono:

- Immunità a tutti per il doping assunto in passato (prima del 2008)

- Aumentare il numero degli atleti sottoposti a test. I test dovrebbero essere svolti da agenzie indipendenti, non affiliate con organi di controllo ufficiali, atleti, sponsor o squadre

- Stabilire una ricompensa per gli scienziati che sviluppano test per nuove sostanze.

- Aumentare le sanzioni: un test positivo e si è fuori per sempre

- Squalificare tutti i membri di una squadra se uno solo è positivo. Obbligare l’atleta a restituire tutto il denaro ricevuto come stipendio dagli sponsor. Sfruttando la psicologia di gruppo, la minaccia di questa sanzione pressa tutti gli atleti, incentivandoli a rispettare i regolamenti.


UN AFFARE ITALIANO

Il problema del doping all’interno del mondo del ciclismo non è una novità. Sin dai tempi di Coppi e Bartali questi cavalieri moderni hanno fatto ricorso ad una serie lunghissima di sostanze alteranti, come dimostrano diversi studi storici e medici (Hoberman, Mortal Engines, New York, 1992) e la  bassa percentuale di vincitori del tour dal 1960 esenti da indagini antidoping. 

Secondo il Comitato Internazionale Olimpico si considera doping l’uso o la somministrazione di sostanze estranee all’organismo, o fisiologiche ma assunte in quantità anormale da soggetti in buona salute per ottenere un incremento artificiale della prova atletica. È una categoria vastissima: vi rientrano sostanze stimolanti come le anfetamine e la caffeina, che aumentano la resistenza fisica allo sforzo ma danno assuefazione (famoso il caso di Vandervelde, ciclista olandese in auge negli anni ’80 dipendente dalle anfetamine che, dopo aver scollinato in cima allo Stelvio, in una tappa epica del Giro, è sfuggito ai controlli grazie al provvido intervento del suo direttore sportivo); narcotici, poco utilizzati, agenti anabolizzanti assunti per migliorare le prestazioni e sopravvivere ad allenamenti sfiancanti; diuretici e agenti mascheranti, valido antidoto alla severità dei controlli, cannabis e betabloccanti; plasma expander, che alterano il ph del sangue, e prodotti che modificano l’esame delle urine (doping genetico); infine pratiche poco ortodosse: trasfusioni ed usi di eritropoietina, che stimola la produzione di globuli rossi durante prove fisiche aerobiche (doping ematico). Tutti stratagemmi escogitati alla fine degli anni ’80 e diffusamente praticati in centri all’avanguardia, come quello di Ferrara del professor Conconi.


Niente, dunque, proprio niente di nuovo sul fronte del ciclismo professionista, dove il doping è vizio noto. Tanto che Paolo Villaggio, sempre durante i ruggenti anni ’80, nel terzo episodio della saga epica più famosa d’Italia, “Fantozzi contro tutti”, inserisce una gara stranamente vinta dal nostrano antieroe dal fisico troppo poco atletico grazie all’assunzione della “bomba (aspirina, anfetamina, cocaina, caffeina, bombe a mano e tricketrack).

Che fare per restituire credibilità ad uno sport che sembra contaminato fino alle fondamenta e impotente di fronte al progresso biotecnologico degli specialisti del doping? Intanto bisogna rassegnarsi al fatto che uno sport professionistico pulito al cento per cento non esisterà mai. Anzi, diciamo che è una vera e propria contraddizione in termini perché, laddove dal risultato di una competizione dipende il futuro sportivo ed economico di un atleta, gli incentivi a barare sono sempre alti.
Per questo più che seguirne le vicende conviene considerare la bicicletta come strumento alternativo ai veicoli a gasolio o a benzina. E magari iscriversi alla competizione “I love Roma” organizzata dai tipi delle alleycat della città eterna per il prossimo 9 novembre.


di riccardo melito


http://www.ccsnews.it/dettaglio.asp?id=6131&titolo=

MAXI INCHIESTA A MANTOVA

Doping, 35 persone indagate a Mantova
Inchiesta su corridori, tecnici e dirigenti di squadre, per episodi di doping che sarebbero accaduti nelle ultime due stagioni. La procura non ha rivelato i nomi. Al centro delle indagini un farmacista già coinvolto due volte negli anni scorsi

ciclismo_dopingMANTOVA – Corridori, tecnici e dirigenti di squadre indagati a Mantova per frode sportiva. In tutto 35 persone, nell’ambito di un’inchiesta sul doping nel ciclismo. Lo ha comunicato il procuratore capo di Mantova Antonino Condorelli, che però non ha voluto aggiungere altro.
La figura centrale sarebbe quella di Guido Nigrelli, 56 anni, farmacista residente a Mariana Mantovana, negli anni scorsi già indagato due volte per doping. Oggi Nigrelli non si è presentato nella sua farmacia, sulla via principale di Mariana, il Comune più piccolo del mantovano con appena 600 abitanti.
Prima di Pasqua il procuratore aveva chiesto una proroga di sei mesi dell’indagine iniziata un anno fa in seguito ad una segnalazione giunta in procura. Il procuratore ha smentito che a denunciare Nigrelli sia stata la sua ex convivente. La quale si sarebbe invece confidata con un amico giornalista.
da LA REPUBBLICA 7 aprile 2010

IL LATO OSCURO DELLA VITTORIA

ROMA - Statistiche dell'abuso

Stando agli ultimi dati diffusi dal Ministero della Salute, nel 2003, il 3% degli atleti di 34 Federazioni (dai calciatori ai ciclisti, dai corridori ai culturisti) ha fatto uso di sostanze illecite.
La guerra al doping non si ferma, anzi. Ma il nemico sembra avere una marcia in più. «La scienza sta riducendo il distacco con quelli che barano. Faremo ogni sforzo per evitare che chi imbroglia partecipi ai Giochi di Atene 2004», ha dichiarato qualche mese fa Dennis Owald, capo della Commissione di coordinamento del Cio (Comitato olimpico internazionale), eppure la sensazione generale è che la macchia d'olio delle sostanze illecite continui ad allargarsi a dismisura.
Troppi "non negativi" ai controlli, altre morti sospette, ancora polemiche sulle contromisure fin qui adottate, pochissime risposte certe all'appello. Il timore più diffuso è che le dimensioni del fenomeno-doping siano ben più allarmanti di quanto dicano i numeri e i fatti di cronaca che a intervalli regolari destano le coscienze. Per un nome più o meno noto che rimbalza su giornali e tv ce ne sono tanti altri che gonfiano, anonimamente e senza clamori, le statistiche sportive alla voce "non pulito".
Clamore e silenzio, comunque dramma. La morte di Marco Pantani, al termine di una lunga agonia privata e professionale cominciata sul traguardo della penultima tappa del Giro d’Italia, il 5 giugno del 1999. Il tasso di ematocrito del suo sangue risultò superiore alla norma (53% a fronte del limite fissato a 50) e scattò la squalifica. Il “Pirata”, lo scorso ottobre, è stato assolto dall’accusa di frode sportiva (“perché il fatto non era previsto dalla legge come reato”) ma chi gli è stato accanto in questi anni continua a ripetere che la sua pedalata verso la morte è cominciata quella mattina del 1999 a Madonna di Campiglio. E poi un'altra morte, quella di Lauro Minghelli, 31 anni, ex giocatore di Torino e Arezzo, l'ultima vittima del morbo di Lou Gehrig.
Perché fa notizia un calciatore trovato positivo al nandrolone, magari una medaglia olimpica conquistata a forza di anabolizzanti, un campione di ciclismo sorpreso con una farmacia "fai da te" in macchina o una nuotatrice troppo massiccia per sembrare solo molto allenata. Il resto rimane nell'ombra, soprattutto se a doparsi sono atleti di discipline poco note al grande pubblico o praticate a livello amatoriale. È proprio qui infatti, lontano dalla ribalta mediatica, che il doping sembra essere fuori controllo: sarebbero oltre 400mila gli sportivi italiani che fanno uso di sostanze dopanti. (dati forniti dall'Associazione stampa estera, ndr).
E mentre la lista delle sostanze illecite si allunga, chi è in prima linea (a vario titolo) nella crociata antidoping, oltre a tenere alta la soglia di allarme, continua a controllare, indagare, assolvere e punire. "Il doping è contrario ai principi di lealtà e correttezza nelle competizioni sportive - recita l'articolo 1 del Regolamento Coni attuativo del Codice mondiale antidoping WADA, in vigore dal 1° gennaio 2004 - ai valori culturali dello sport, alla sua funzione di valorizzazione delle naturali potenzialità fisiche e delle qualità morali degli atleti". È ovviamente la stessa Agenzia mondiale antidoping (WADA) a stilare la lista delle sostanze vietare e dei metodi proibiti.
La versione aggiornata, approvata dalla Giunta Nazionale del Coni il 23 gennaio scorso, comprende: stimolanti (cocaina, efedrina, stricnina etc.), narcotici (metadone, morfina, ossicodone etc.), cannabinoidi (hashish, marijuana etc.), agenti anabolizzanti (nandrolone, testosterone, zeranolo etc.), ormoni peptidici (eritropoietina, insulina ormone della crescita etc.), beta-2-agonisti, agenti con attività anti-estrogenica, agenti mascheranti (espansori di plasma, acido etacrinico, etc.) glucocorticosteroidi, alcool, beta-bloccanti (utilizzati per ridurre emotività e tremore) e diuretici.
«Tutte queste sostanze - spiega il professor Francesco Furlanello, consulente del Policlinico San Donato di Milano - possono provocare gravi conseguenze epatiche, cerebrali, muscolo-tendinee, ematiche, metaboliche, endocrine e persino tumorali. Nel mondo dei professionisti si fanno controlli sempre più raffinati, resta però aperto il vastissimo campo degli amatori, degli sportivi della domenica, delle decine di migliaia di ragazzi che nessuno controlla. Con la complicità di genitori, parenti e sedicenti guru di palestre, stanno crescendo generazioni di giovani che rischiano la salute e la vita».
17 febbraio 2004

Fonte: Libero