Quando le sostanze dannose messe al bando negli sport possono rivelarsi preziosi strumenti per lo sviluppo
di nuove terapie e cure per la vita di tutti i giorni dei cittadini

IL CONTROLLO DEL DOPING NEGLI SPORTIVI

NUOVE FRONTIERE DELL' ANTIDOPING

Il doping: il passaporto biologico
Come funziona il nuovo strumento per la lotta al doping?
04.05.2010 11:00 di Mario Spairani   
Pellizzotti, Valjavec, Rosendo ed altri ciclisti sono stati proprio in questi giorni sospesi dall'attività. La rete dell'antidoping stringe le maglie, e diventa più difficile sfuggire ai controlli incrociati sangue/urine, alla frequenza dei controlli, spesso anche fuori dalle competizioni, ma soprattutto al passaporto biologico.
Ma cos’è il passaporto biologico?
Sulla base di quali dati viene costruito questo passaporto, e come può essere utilizzato per contrastare la diffusione del doping?

Sul sito dell’UCI (Union Cycliste Internationale) si legge:
Un passaporto biologico è una raccolta di documenti elettronica individuale, che contiene tutti i risultati dei test antidoping relativi ad un determinato periodo di tempo. Tale passaporto conterrà per ogni corridore i seguenti dati:
risultati dei test sulle urine
risultati dei test sul sangue
un profilo ematologico, ottenuto dalla comparazione dei parametri ematologici risultanti da una serie di esami del sangue.
un profilo ormonale steroideo, risultante dalla comparazione dei parametri ormonali risultanti da una serie di esami delle urine
.”
(Rif.: http://www.uci.ch/templates/UCI/UCI5/layout.asp?MenuId=MjI0NQ&LangId=1 - sezione "Questions and answers"),

Sempre sul sito dell’UCI, più avanti vengono spiegate più in dettaglio le modalità con cui si crea il database storico di valori relativo a ciascun ciclista; ecco un estratto:

Durante la stagione (sul sito si fa riferimento specifico al 2008) ogni ciclista si sottoporrà a:
esami del sangue, la maggior parte dei quali al di fuori delle competizioni, al fine di stabilire il profilo ematologico dell’atleta.
Esami delle urine, la maggior parte dei quali al di fuori delle competizioni, al fine di stabilire il profilo ormonale/steroideo dell’atleta.
Test isolati durante le competizioni. Tali test non concorreranno alla creazione del profilo ematologico e steroideo dell’atleta.
Test isolati al di fuori delle competizioni, al fine di aggiornare alcuni parametri o con l’obiettivo specifico di rintracciare alcune sostanze.


In pratica, tramite un accurato sistema di raccolta dati viene creato per ciascun ciclista il profilo tipo, corrispondente alle condizioni normali dell'atleta; questi dati vengono preferibilmente raccolti nel periodo “di riposo” di ciascun ciclista, cioè lontano da ogni competizione, ma anche dai periodi di allenamento più intenso. Tale profilo funge poi da parametro di confronto per ogni valore che verrà riscontrato sull'atleta durante i controlli nei periodi di gara o di allenamento.
Ovviamente, è fondamentale la creazione di un profilo ematologico e steroideo il più accurato possibile, in modo da determinare, per ciascun atleta, le caratteristiche tipo con un margine di errore molto ristretto, e di conseguenza porre in risalto ogni variazione sospetta.

Tutto questo, sulla carta, è molto bello e potenzialmente apre nuove frontiere nella lotta al doping, ma ha avuto bisogno di un paio di anni di rodaggio prima di arrivare a dare i risultati significativi che stiamo apprezzando in questi giorni.
Per permettere questi risultati, è stato fondamentale introdurre nella normativa antidoping il concetto secondo cui un ciclista, anche in assenza di tracce di prodotti dopanti, possa comunque essere considerato positivo all'antidoping in caso di variazioni significative dei parametri ematologici, sulla base dello storico riassunto nel suo passaporto biologico.
Sul sito UCI, alla specifica domanda:
“E’ possibile aprire un procedimento per doping sulla base del profilo ematologico?”
viene risposto positivamente, e questo in funzione delle nuove normative; al punto 23 delle “Anti-Doping rules” scaricabili dal sito UCI si legge:
Ciascuna delle seguenti situazioni costituisce prova di aumento del trasferimento di ossigeno (nel sangue):
 - L'analisi di un campione di sangue da parte di un laboratorio approvato dall'UCI, che dimostri una quantità di emoglobina o un indice di stimolazione più alti del limite, estrapolato sulla base dello storico del ciclista, quindi del suo pasasporto biologico.
 - Una sequenza di 6 o più valori di emoglobina o di indice di stimolazione, mostrati da esami del sangue svolti da laboratori approvati dall'UCI, con risultati deviati rispetto a quelli ottenuti sullo storico del ciclista
.”
Ciò significa, per esempio, che se un ciclista con ematocrito normalmente compreso tra 40 e 42 mostrasse, alla vigilia di un'importante competizione, un valore di 48, ciò sarebbe condizione sufficiente ad aprire verso l'atleta un procedimento per doping. Queste valutazioni vengono fatte sulla base di analisi statistiche dei dati, e la positività viene considerata solamente laddove tale analisi statistica offra una certezza pari al 99.9%, sul fatto che il valore incriminato ritrovato sul ciclista sia significativamente diverso dai suoi valori storici precedenti. Laddove un valore (o una serie di valori) diverso dallo storico non offra una probabilità almeno pari al 99.9%, tale valore non potrà essere considerato per l'apertura di un procedimento per doping.

Inoltre, l'UCI ha cominciato a praticare assiduamente un'altra strada nella lotta al doping, anch'essa resa possibile dall'introduzione del passaporto biologico, e cioè quella dei controlli mirati.
Si tratta di test specifici, per la ricerca di eventuali prodotti che possano aver contribuito alla variazione dei parametri anomali riscontrati dal confronto con il passaporto biologico.
Per esempio, un corridore con un tasso di emoglobina superiore al suo storico, ma con una differenza non tale da far scattare di per se la procedura per positività al doping, verrà probabilmente sottoposto ad un test mirato per la ricerca di EPO.
In questo modo è stata colta la positività di Massimo Giunti ad inizio stagione, poi confermata dalle ammissioni dello stesso ciclista; sulla stessa falsariga è stata condotta anche l'indagine che ha condotto alla scoperta di EPO esogena nei campioni del ciclista spagnolo Vazquez Hueso, resa nota il 26 Aprile.

Certo è che siamo solo agli inizi. Non sarà facile cogliere tutti i furbi che cercano scorciatoie tramite il doping, ma di certo con l'utilizzo del passaporto biologico l'UCI e l'anti-doping in genere possono contare su un'arma in più in questa difficile lotta.

Fonte:http://www.spaziociclismo.it

PROCEDURA DEL CONTROLLO ANTIDOPING NEL CALCIO

1. NOTIFICA PER IL CONTROLLO ANTIDOPING
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a) Quando i giocatori lasciano il campo a fine gara (dopo eventuali festeggiamenti nel dopopartita), un addetto accompagnatore notifica iscretamente al giocatore del suo obbligo di presentarsi presso la sala per il controllo antidoping. La notifica viene effettuata verbalmente e anche attraverso il formulario di convocazione per il controllo antidoping (D2). Questo documento viene fornito al giocatore e quest’ultimo deve apporvi la propria firma.
b) Dal momento della notifica, l’addetto accompagnatore accompagna ed osserva il giocatore senza perderlo di vista, senza interferire con le attività concernenti le interviste del dopopartita nelle aree preposte per le “interviste super lampo” o “ interviste lampo” prima dell’ingresso negli spogliatoi. Dopo le interviste il giocatore sarà accompagnato direttamente presso la saletta preposta al controllo antidoping. Al giocatore non è consentito di rientrare negli spogliatoi. Se il giocatore desidera recuperare oggetti personali dallo spogliatoio, il medico sociale e/o un rappresentante del club gli porteranno l’oggetto o gli oggetti desiderati nella sala preposta al controllo antidoping.
c) L’ addetto accompagnatore resterà nella sala di attesa davanti alla sala preposta al controllo antidoping fino a quando il test non è completato.
d) Il giocatore può lasciare la sala preposta al controllo antidoping soltanto in circostanze molto particolari e soltanto con il permesso dell’Addetto al Controllo Antidoping (ACAD). Durante tale periodo l’addetto accompagnatore accompagna e osserva il giocatore senza perderlo di vista fino a quando non si ripresenta nella sala preposta al controllo antidoping.
e) Se non sono disponibili delle persone per accompagnare il giocatore, il medico sociale e/o un rappresentante del club notificheranno all’atleta del suo obbligo e lo accompagneranno alla sala preposta al controllo antidoping.
f) Ad ogni modo, il club o la federazione interessati sono responsabili di fare in modo che i giocatori selezionati si rechino presso la sala preposta al controllo antidoping direttamente dal campo non appena la partita si è conclusa (vedi paragrafo 7.10 del Regolamento Antidoping della UEFA) seguendo la procedura di cui sopra

2. REGISTRAZIONE ED IDENTIFICAZIONE

a) L’ACAD potrà chiedere al giocatore di verificare la propria identità esibendo il passaporto o il tesserino di giocatore.
b) L’ACAD spiegherà la procedura se necessario.
c) Il medico sociale compila la dichiarazione relativa all’utilizzo di un medicinale (D3) e la consegna all’ACAD prima dell’inizio del controllo (vedi paragrafo 7.11). Il medico sociale deve verificare con l’atleta se dispone di un’EFT o se ha utilizzato dei medicinali nei tre mesi precedenti al controllo antidoping. In particolare, il medico sociale dovrà dichiarare quanto segue:
1. Uso non sistemico e per inalazione di glucorticosteroidi
2. Salbutamolo e salmeterolo per inalazione
3. Preparazioni derivate da piastrine somministrate per via non intramuscolare

3. SELEZIONE DELLA PROVETTA CON BECCUCCIO
________________________________________________________________________________________________________________
a) Quando il giocatore è pronto a fornire il campione d’urine può scegliere la provetta con beccuccio.

4. PRODUZIONE DEL CAMPIONE DI URINE
________________________________________________________________________________________________________________
a) Dopo aver scelto la provetta con beccuccio, il giocatore produce il campione d’urine. Nel fare ciò viene costantemente tenuto d’occhio
dall’ACAD.
b) E’ necessario un volume minimo di 90 ml.

5. SELEZIONE DELLE BOTTIGLIETTE
________________________________________________________________________________________________________________
a) Dopo aver prodotto una quantità sufficiente di urine, il giocatore sceglie un contenitore di bottigliette sigillato che porta un codice numerico singolo.
b) Il nastro deve essere intatto. Nel caso in cui vi siano dei dubbi sarà necessario scegliere un altro contenitore.
c) Il giocatore rompe il sigillo del contenitore e può così avere accesso alle bottigliette.
d) Sia giocatore che ACAD devono verificare che le bottigliette siano in condizioni perfette e che lo sleeve termoretraibile sia intatto, che i numeri di ogni componente del kit siano identici e che gli elementi del coperchietto (tappo interno, anello di tenuta in gomma e anello filtro) siano al proprio posto.

6. SUDDIVISIONE DEL CAMPIONE DI URINE E MISURAZIONE DELLA GRAVITA’ SPECIFICA (GS)
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a) Il giocatore decide se sarà lui oppure l’ACAD a versare il campione d’urine nelle bottigliette “A” e “B”. Se il giocatore decide di fare da
sé, l’ACAD dovrà spiegare la procedura. Il volume d’urine deve essere di almeno 90 ml (“A” 60 ml, “B” 30 ml). Per la procedura relativa al campione parziale, siete pregati di fare riferimento alla fase 11.
b) Per facilitare la misurazione, la linea di misurazione sulla bottiglietta rossa “A” corrisponde a 60 ml. La linea di misurazione sulla bottiglietta blu “B” corrisponde a 30 ml.
c) Un volume sufficiente d’urine andrebbe lasciato nella provetta con beccuccio per consentire all’ADAC di effettuare il test per verificare la gravità specifica del campione. Se la gravità specifica del campione è “inadeguata” (sufficientemente alta) (1.005 o superiore con un rifrattometro o 1.010 o superiore con il metodo delle strisce reattive per le urine) l’atleta dovrà continuare a produrre campioni fino a quando sarò raggiunta una gravità specifica adeguata. I dati relativi alla gravità specifica vengono poi annotati sul formulario per il controllo antidoping (D5).
d) Se nel campione d’urine è disponibile un volume superiore ai 90 ml prescritti, sarà versato nelle bottigliette “A” e “B”.
e) Le urine in eccesso saranno eliminate versandole nel gabinetto in presenza del giocatore.

7. CHIUSURA E SIGILLATURA DELLE BOTTIGLIETTE
________________________________________________________________________________________________________________
a) Prima di chiudere le bottigliette, l’anello rosso che separa il tappo dalla bottiglia per impedire la chiusura accidentale della stessa durante il trasporto, deve essere rimossa e gettata.
b) Dopo che il campione d’urine è stato versato nelle bottigliette “A” e “B”, il giocatore oppure l’ACAD devono chiuderle bene dopo aver verificato che le bottigliette sono in buono stato. Chiudete il tappo premendo verso il basso e girandolo allo stesso tempo. Potrete sentire una serie di clic. Il tappo deve essere girato fino a quando non si blocca completamente. Il giocatore deve verificare che non vi siano perdite d’urina quando le bottigliette vengono rovesciate e confrontare i numeri di codice di entrambe le bottigliette, dei tappi e dei dettagli relativi al formulario per il controllo antidoping (D5) ancora una volta (vedi paragrafo 11.08).

8. FORMULARI PER IL CONTROLLO ANTIDOPING (D5)
________________________________________________________________________________________________________________
a) L’ACAD compila il formulario per il controllo antidoping (D5).
b) L’ACAD compila le caselle di sua competenza.
c) Il giocatore deve controllare/confrontare il numero della bottiglietta con quello inserito nel formulario D5.
d) Il giocatore può inserire delle osservazioni nella relativa sezione “osservazioni”.
e) Il giocatore ed i dirigenti accompagnatori devono firmare il formulario D5.

9. FORMULARIO PER LA DICHIARAZIONE RELATIVA ALL’UTILIZZO DI UN MEDICINALE (D3)
________________________________________________________________________________________________________________
a) Quando l’ADAC riceve i formulari D3 dal medico sociale di una squadra, gli chiederà se dispone di una copia della richiesta di EFT o del certificato EFT emessi dalla UEFA o qualsiasi autorità competente antidoping per ognuno dei giocatori in questione.
b) L’ACAD inserirà le informazioni relative alla richiesta o al certificato di EFT, se del caso, sul formulario per la dichiarazione relativa all’utilizzo di un medicinale (D3) del giocatore interessato (marcando l’apposita casella).
c) L’ACAD chiederà al giocatore se i medicinali dichiarati dal medico sociale sono gli unici da lui assunti nel periodo d’interesse precedente al controllo. Se non ha assunto alcuna altra sostanza, il giocatore deve completare e firmare il formulario D3.
d) Il giocatore deve anche menzionare se ha assunto integratori vitaminici, sostanze omeopatiche, prodotti d’erboristeria e, se del caso, pillole contraccettive.
e) Le informazioni sul formulario D3 devono essere trattate con la massima riservatezza da tutte le persone che vi hanno accesso.
f) Il formulario D3 va firmato anche dal medico sociale.

10. CONTROLLO E FIRMA DEI DOCUMENTI
a) Il giocatore e l’ACAD devono verificare che tutti i documenti siano stati firmati dal giocatore e dal medico sociale interessati.
b) Il giocatore riceverà la sua copia personale dei formulari D3 & D5 (parte rosa).

11. CAMPIONE PARZIALE
________________________________________________________________________________________________________________
a) Se il campione d’urine fornito è inferiore a 90 ml (vedi paragrafo 11.05), il giocatore oppure l’ACAD su richiesta del giocatore, versa, per motivi di sicurezza, il volume d’urine già raccolto nella bottiglietta che porta il marchio “A” e la sigilla con l’apparecchio per la sigillatura temporanea prima di sostituire il tappo sulla bottiglietta. La bottiglietta “A” viene poi rimessa nell’imballaggio di polistirolo - contenente anche la bottiglietta “B” - e sigillata con il nastro di sicurezza (vedi paragrafo 11.11).
b) Il numero del nastro di sicurezza e il volume d’urine raccolto (in ml) devono essere riportati sul formulario per il campione parziale (D6) fornito a tale scopo. Il giocatore deve firmare a fianco di tale numero di codice sulla parte rimovibile del formulario per confermare che il numero di codice è corretto.
c) Quando il giocatore è in grado di fornire un campione supplementare, deve identificare il suo campione iniziale confrontando il numero di codice sul nastro di sicurezza posto sull’imballaggio di polistirolo con quello posto sul formulario per il campione parziale (D6). Anche l’ADAC dovrà effettuare questa verifica.
d) Il giocatore e l’ACAD devono verificare assieme che il nastro di sicurezza non sia stato rotto.
e) In un secondo momento il giocatore urina ancora una volta in una nuova provetta con beccuccio.
f) Sotto la supervisione dell’ACAD, il giocatore apre la bottiglietta svitando l’apparecchio per la sigillatura temporanea.
g) Il campione parziale nella bottiglietta “A” viene aggiunto al secondo campione nella provetta con beccuccio per fare in modo che entrambi i campioni siano ben miscelati.
h) Se il volume è ancora insufficiente, vanno ripetute le procedure dal punto a) a quello g) di cui sopra.
i) Una volta ottenuto il volume auspicato, il test può proseguire a partire dalla fase 6.

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12. GIOCATORI INFORTUNATI - CARTELLINO ROSSO - GIOCATORI CHE SI RIFIUTANO DI SOTTOPORSI AL CONTROLLO ANTIDOPING
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a) L’ADAC esamina i giocatori infortunati per valutare l’entità degli infortuni prima che lascino lo stadio per l’ospedale.
b) Se un giocatore (che non sia il portiere) si infortuna prima della gara, quando la formazione è già stata consegnata dalla squadra in questione:
i. Può essere rimpiazzato con un sostituto. A seconda del Regolamento della competizione, il giocatore potrà essere sostituito da un atleta che in precedenza non figurava in lista.
ii. Il giocatore infortunato deve rimanere disponibile nel caso in cui fosse sorteggiato per il test antidoping salvo che, su conferma dell’ADAC, debba essere inviato immediatamente in ospedale.
iii. Se il sostituto è stato rimpiazzato, colui che rimpiazza dovrà essere incluso nella lista per il sorteggio del test antidoping.
c) Se un portiere si infortuna prima della gara quando la formazione è già stata consegnata dalla squadra in questione:
i. Il portiere infortunato può essere sostituito da un estremo difensore in precedenza non inserito in lista;
ii. In questo caso il portiere infortunato deve essere disponibile nel caso dovesse essere sorteggiato per il test antidoping ed il numero di giocatori per il sorteggio sarà portato da 18 a 19. Se, su conferma dell’ADAC, il giocatore deve essere inviato immediatamente in ospedale, non dovrà essere incluso nella lista per il sorteggio valido per il controllo antidoping di cui sopra.
d) Se un giocatore viene espulso durante la partita, deve rimanere a disposizione per un eventuale controllo antidoping a fine gara nel caso in cui venga sorteggiato o aggiunto alla lista dei giocatori da sottoporre a test oltre a quelli sorteggiati (vedi paragrafo 7.13).
e) Nel caso in cui un giocatore dovesse rifiutare di sottoporsi al test antidoping, sarà deferito ai sensi della procedura disciplinare e sottoposto alle sanzioni del caso_

LOTTA AL DOPING: LE CONTROMISURE

Il gene fuori dalla bottiglia. Anticipazioni sul doping genetico prossimo venturo
Oh, gli steroidi sono tanto antiquati che guardate i Giochi Olimpici: chi viene trovato positivo agli anabolizzanti solitamente è un atleta dei Paesi del Terzo Mondo dove non possono permettersi di meglio.

Quelle che non si scoprono con l’anti-doping (GH, eritropoietina, ingegneria genetica, ...) sono pratiche talmente costose che se le permettono soltanto le nazioni (e gli atleti) ricchi.

IN CHE MODO L’INGEGNERIA GENETICA PUÒ AUMENTARE LA PERFORMANCE ATLETICA?

PRIMO: RIPARARE
La prima tappa porterà a riparare i tessuti veicolando speciali proteine: i fattori di crescita. Con i fattori di crescita, le cellule staminali e la terapia genetica si possono riparare (ossia fare crescere, volendo quasi senza limiti) i muscoli. Anche la forza può essere aumentata.

La seconda tappa più delicata sono gli impianti cibernetici come i nanotubuli di carbonio. Si tratta di filamenti microscopici che allacciati intorno ai muscoli li renderanno fortissimi (i nanotubuli di carbonio sono tra i materiali più resistenti mai sintetizzati).
Esempio: si potranno rinforzare quadricipiti e bicipiti femorali con i nanotubuli ed IN PIÙ programmare la cellule con il gene che permette ad una comune pulce di saltare tanto in alto...



SECONDO: RICOSTRUIRE
Ricostruire gli organi in laboratorio per reimpiantarli nell’atleta facendo crescere cellule umane su un’impalcatura di materiali biocompatibili e anche grazie ad un’altra risorsa: le cellule staminali degli organi adulti oppure le cellule dei primi stadi di sviluppo dell’embrione, spingendole a differenziarsi verso il tipo cellulare desiderato.
Il reimpianto si avvarrà in larga misura della nanotecnologia: macchine microscopiche (un nanometro è un miliardesimo di metro) che possono eseguire dentro l’organismo i compiti di un’intera équipe chirurgica.
Esempio: si inseriranno negli atleti “nanofarmacie” che sintetizzeranno i vari farmaci all’interno delle stesse cellule del corpo e poi li rilasceranno nel torrente ematico in base a necessità.


TERZO: RINGIOVANIRE
L’impiego di cellule staminali embrionali è la terza tappa del percorso dell’ingegneria genetica: sono cellule sempre giovani e vitali, capaci di trasformarsi in qualunque tipo cellulare. È qui che lo sport “da laboratorio” si tradurrebbe in eterna giovinezza.
Esempio: l’équipe di Ron McKay, del laboratorio di biologia molecolare dei National Institutes of Health di Bethesda (Usa), ha usato cellule staminali embrionali di topo per ottenere cellule delle isole pancreatiche, in grado di produrre insulina e glucagone. Trapiantate in topi diabetici, le cellule hanno continuato a produrre insulina, anche se non in quantità sufficiente.


QUARTO: TRASFORMARE
Gli scienziati stanno già lavorando sull’ipotesi di convertire un tipo di fibra muscolare in un’altra o di aumentarne la quantità con l’ingegneria genetica. I geni infatti possono essere utilizzati come mezzi per veicolare i comandi che dicono al corpo come e quante proteine produrre. I sistemi di trasporto di questi geni sono virus e batteri.
In pratica “reingegnerizzare i geni” per sviluppare muscoli più potenti, migliorare la prontezza di riflessi o aumentare la capacità polmonare.
Esempio: invece di inghiottire compresse o iniettarsi ogni giorno, un atleta potrà fare un’unica inserzione di materiale genetico e con essa promuovere la crescita della massa muscolare per mesi o anche per anni.

QUINTO: PERSONALIZZARE IL DOPING TRADIZIONALE
Il genoma umano è stato mappato.
Esempio: con il progredire delle pratiche collegate, ogni atleta potrà evitare di scegliere il proprio doping “a caso”. Conoscendo le proprie caratteristiche genetiche, ogni atleta può scegliere i prodotti che per lui e solo per lui massimizzano i risultati e minimizzano gli effetti collaterali.

SESTO: IL TABÙ DEI TABÙ, OSSIA GLI ATLETI IN PROVETTA
Come si mappa il genoma umano, si possono fare ricerche per stabilire i geni che caratterizzano un campione.

Esempio: gli atleti saranno tra i candidati più appetibili per la clonazione. Con la clonazione si possono replicare le predisposizioni genetiche ad una data attività sportiva. Ovviamente un campione non è fatto solo dalla genetica.
LA DIFFUSIONE FUTURA: NON “SE” MA “QUANDO”
È la nuova realtà dello sport, che accadrà di sicuro. Solo il quando è in dubbio. Magari è già stato fatto. Di sicuro è avvenuto per ratti, pecore e scimmie. Lo stanno facendo per i cani. Nessuno può smentirci che non ci sia già in giro un atleta modificato geneticamente.

Molti sostengono che il boom dell’ingegneria genetica sarà con le Olimpiadi del 2004 ad Atene (al più tardi con Beijing nel 2008). In ogni caso da qui a 15 anni, state certi che l’ingegneria genetica sarà nell’arsenale atletico.

COME DOVRÀ ESSERE L’ANTI-DOPING GENETICO?
Impossibile da fare, almeno per ora.
Se si dovesse fare un test del genere, sarebbe necessaria una biopsia dei tessuti. Certamente nessun bodybuilder sarebbe lieto di una tecnica così invasiva e che potrebbe lasciare cicatrici.
Gli scienziati stanno allora cercando di mettere a punto il test di “anti-doping genetico” ricercando nel sangue i sottoprodotti delle cellule staminali e dei fattori di crescita.

I SUPER RATTI DELLA UNIVERSITY OF PENNSYLVANIA MEDICAL SCHOOL.
I ricercatori hanno sottoposto ad un esperimento di ingegneria genetica alcuni ratti. Ecco i risultati:
• La massa muscolare dei super ratti era del 15-45% maggiore rispetto a quella dei ratti normali.
• I muscoli guarivano velocemente dopo un infortunio.
• Non c’erano segni di invecchiamento.
• La produzione di IGF-1 risultava aumentata.


I GENI FUORI DALLA BOTTIGLIA ...ossia alcune delle “già” realtà.

IL GENE PER L’EPO
Prendendo un virus ordinario e togliendo i geni con il virus che causa la malattia, vi si introducono i geni che fanno produrre al corpo le proteine che sintetizzano la quantità extra di EPO. Il virus è iniettato nell’atleta e il suo corpo produce così quantità maggiori di EPO.

IL GENE “JOCK”Nel 1998 gli scienziati della University College London Center for Cardiovascular Research hanno scoperto un gene che è stato battezzato “gene dell’atleta” (jock). Questo gene regola un enzima che a sua volta controlla gli elettroliti e il volume dei vasi sanguigni.

IL GENE DEL GH
Il gene per l’ormone umano della crescita (HGH) offre la possibilità di aumentare il volume muscolare e la forza.
I "COCKTAIL" GENETICI
I cocktail genetici, ossia mix di geni combinati in base alle migliori caratteristiche dei più grandi campioni. Per esempio cocktail genetici da inserire nel DNA di un atleta per avere la struttura di Paul Dillett, pettorali e braccia di Arnold, le gambe di Tom Platz, la schiena di Dorian Yates, le spalle di Sergio Oliva, gli addominali di Serge Nubret e la definizione di Rich Gaspari.

Incredibilmente costosi e, per ora, ancora un desiderio da chiedere al genio della lampada!

Rossella Pruneti
Pubblicato su BIG 2003

ANTIDOPING: COME FUNZIONA?

ESCLUSIVO. La lotta al “doping” è un tema di grande attualità; ma oltre ad esaminarne gli aspetti medici, scientifici ed etici è doveroso studiarne a fondo la disciplina giuridica, sia internazionale che nazionale, sportiva e penale. Ecco quali sono gli organi competenti, le procedure attivabili e le sanzioni irrogabili nei casi in cui un atleta (tennista e non), venga colto quale assuntore di sostanze dopanti.
Cesare Boccio

doping6
PARTE 1
Si discute spesso, di argomenti legati al doping. Ma raramente il tema viene affrontato nei suoi aspetti giuridici. Con questo monumentale lavoro del nostro Cesare Boccio (diviso in tre parti) ci addentriamo in questo delicato argomento. Un documento utilissimo per apprendere la materia anche per chi non mastica quotidianamente il linguaggio giuridico. (in fondo al pezzo, la lunga intervista al dottor Carlo Giammattei sull'argomento doping)

I giuristi e gli appassionati che hanno l'ardire di accostarsi per la prima volta alla normativa volta al contrasto delle pratiche “dopanti”, non possono fare a meno di notare in quale autentico ginepraio giuridico si siano imbattuti. Un insieme di normative statali, convenzioni internazionali, regolamenti sportivi internazionali e “domestici”, oltre che disposizioni di settore (ossia rivolte alle singole discipline sportive), si intersecano costituendo un complesso all'interno del quale è difficile districarsi. E' pertanto opportuno fissare un metodo di analisi che ci permetta di chiarire tutti i dubbi in modo terminologicamente comprensibile anche per i “non addetti ai lavori”. In primo luogo si comincerà con lo studio delle regole sportive, con un occhio di riguardo per il tennis, per poi proseguire con la disamina delle norme penali italiane e un breve approccio comparatistico anche alle leggi antidoping di alcuni paesi stranieri. Si tenga presente che, vista l'ampiezza dell'argomento e per ovvie ragioni di scorrevolezza del discorso, sarà necessario soffermarsi principalmente sugli aspetti più importanti di carattere strettamente normativo, lasciando l'approfondimento medico a specialisti del settore.

LA NORMATIVA SPORTIVA.
L'ISTITUZIONE DELLA WADA ED IL “WORLD ANTI-DOPING CODE”.

L'intento del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) di imprimere una svolta ancor più efficace nella lotta al doping si concretizzò nel 1999 con l'istituzione della WADA (World Anti-Doping Agency). In quel periodo era ancora forte e doloroso l'eco delle polemiche esplose sugli scandali verificatisi soprattutto nel ciclismo; basti pensare al Tour de France 1998 vinto da Pantani e caratterizzato da numerosi ritiri a dir poco sospetti e dall'intervento costante delle Forze di Polizia francesi. La WADA perciò nacque con la “mission” di esercitare un potere di direttiva nei confronti dei comitati olimpici nazionali e delle federazioni internazionali, volto ad uniformare le rispettive normative interne antidoping attraverso la periodica emanazione di un Codice, denominato appunto “World Anti-Doping Code”, la cui prima versione entrò in vigore nel 2003 e la cui ultima edizione è divenuta efficace a decorrere dal 1 gennaio 2009 (il testo è reperibile sul sito WADA). In sostanza, il contenuto della codificazione in questione è suddiviso nelle seguenti 4 parti:

1) Controllo antidoping,

2) Educazione e ricerca,

3) Ruoli e responsabilità,

4) Norme procedurali in materia di approvazione e modificazione del codice, e di conformazione al medesimo.

E' appena superfluo sottolineare come, ai fini del discorso che interessa gli appassionati di tennis, assuma particolare rilievo la prima parte del Codice, dedicata alle procedure che presiedono al prelievo dei campioni, dell'accertamento dell'illecito, nonché del successivo giudizio (primo grado e appello) oltre che, chiaramente, alla tipologia di sanzioni che possono essere applicate ad un atleta. Va detto inoltre che la gran parte delle regole in esame sono, per così dire, di principio, ossia norme che necessitano di attuazione da parte, da un lato, dei Comitati Olimpici Nazionali e dall'altro delle Federazioni internazionali delle singole discipline sportive. Ad esempio, per quanto concerne il tennis (come verrà esaminato meglio in seguito), il Codice WADA costituisce fonte normativa di ispirazione dell' “ITF Tennis Antidoping Programme”, oltre che per noi italiani del “Documento tecnico attuativo del Programma Mondiale Anti-Doping WADA”, approvato dal CONI, e destinato all'applicazione generalizzata di tutti gli sport agonistici ivi compreso il tennis. Non solo, è doveroso ricordare che l'operato del CIO e della WADA ha trovato espresso riconoscimento ed incentivo anche a livello della “Convenzione Internazionale contro il doping nello sport” adottata a Parigi durante la XXXIII Conferenza generale UNESCO il 19 ottobre 2005, e successivamente ratificata dal Parlamento italiano con la legge n. 230 del 26/11/2007.


LE VIOLAZIONI (Art.2)

Tornando al Codice WADA, si esaminano nel dettaglio le violazioni in esso contemplate:

- la principale violazione è costituita dalla presenza di una sostanza vietata, dei suoi metaboliti o “marker”(marcatori) nel campione di un atleta. In particolare, il codice specifica che si considera consumato l'illecito del divieto di assunzione di sostanze dopanti se, dei due campioni prelevati (non si precisa se campione ematico o di urina anche se nelle maggior parte dei casi si verifica la seconda ipotesi) e denominati convenzionalmente A e B, la traccia risulti presente nel solo primo campione quando l'atleta ha rinunciato all'analisi del secondo, e qualora la prima analisi sia confermata anche da quella del campione B. Inoltre, per quanto concerne quello che nel linguaggio giuridico viene definito “l'elemento soggettivo” dell'infrazione (in termini più semplici, la consapevolezza e volontà della condotta illecita), il codice non richiede la prova dell'intenzionalità o dell'errore ascrivibile all'atleta, bensì, la semplice condizione accennata in precedenza, ossia l'oggettivo riscontro analitico. Ciò significa che grava sull'atleta stesso l'onere di provare che l'assunzione di sostanze proibite sia avvenuta contro la sua volontà oppure senza la sua consapevolezza. Invece, la fattispecie del “tentativo di uso”, ossia l'ipotesi nella quale vengono compiuti atti prodromici all'uso nel corso di una competizione sportiva (si pensi al caso di Ivan Basso il quale nel 2007, nell'ambito delle indagini rientranti nella cosiddetta Operacion Puerto, ammise espressamente il solo tentativo alla Procura antidoping per essersi sottoposto alla autoemotrasfusione in vista del Tour de France) si caratterizza per i più rigidi obblighi probatori da parte degli organi inquirenti, i quali devono trarre elementi di valutazione da documentazione relativa alla persona dell'atleta, soprattutto di carattere medico-scientifico e, contrariamente all'ipotesi dell'uso effettivo, devono fornire prova dell'intenzionalità.

- Infrazione del rifiuto di sottoporsi al prelievo di campione.

-Inosservanza dell'obbligo di “reperibilità” dell'atleta nei periodi non dedicati alle competizioni sportive (obbligo molto criticato nel settore tennistico in particolare da Rafael Nadal in quanto ritenuto eccessivamente limitativo della propria sfera di libertà personale). Si precisa ulteriormente, in merito all'ultima fattispecie, che si considera integrata una violazione del codice anti-doping nell'ipotesi in cui l'atleta, nel corso di un periodo di osservazione di 18 mesi, non fornisca informazioni in merito alla sua collocazione logistica e/o non si sottoponga ai test per un totale di 3 inosservanze.

- Manomissione o il tentativo di manomissione del controllo. Una violazione costituita da tutti quei casi in cui l'atleta pone in essere atti fraudolenti volti ad alterare gli esiti delle analisi, oppure ad ostacolare la sua identificazione.

- Possesso di sostanze e/o metodi dopanti proibiti. L'illecito viene commesso dall'atleta che viene trovato in possesso di tali sostanze al di fuori dei casi di autorizzazione per ragioni terapeutiche, sia nel corso delle competizioni che al di fuori.

- Possesso di sostanze e/o metodi dopanti da parte del personale di supporto dell'atleta. Stesse considerazioni di cui al punto precedente.

- Traffico o tentativo di traffico di sostanze dopanti e/o metodi proibiti.

- Somministrazione o tentativo di somministrazione di sostanze proibite ad un atleta. Punisce sia l'atto di somministrare sostanze e/o metodi proibiti, sia la tenuta di una condotta finalisticamente orientata ad indurre un atleta all'assunzione di sostanze dopanti.


LE SOSTANZE PROIBITE (Art. 4)

Il fulcro di tutta la normativa “antidoping” è ovviamente rappresentata dalla lista delle sostanze e dei metodi proibiti, aggiornata dalla WADA con cadenza annuale (l'ultima lista dell'anno 2010 è reperibile a QUESTO INDIRZZO). Un'elenco che, in base a quanto enunciato dal Codice, entra in vigore automaticamente presso tutti gli ordinamenti sportivi decorsi tre mesi dalla data della sua pubblicazione; perciò si pone come norma immediatamente precettiva per tutti gli organi competenti sia a livello nazionale che internazionale.

Le sostanze vengono raggruppate nelle seguenti macro-categorie:

- Agenti anabolizzanti, a loro volta suddivisi in:

- steroidi anabolizzanti androgeni;

- altri agenti anabolizzanti previsti dalla lista.

- Ormoni peptidici, fattori della crescita, e sostanze collegate; una categoria di sostanze nella quale rientrano, tra le altre, sia l'EPO (eritropoietina) che la cosiddetta EPO di terza generazione, la CERA (Continuous erythropoietin receptor activator) che stimola il recettore renale alla produzione continua di eritropoietina.

- I Beta-2 agonisti, che esercitano la loro efficacia sulla muscolatura bronchiale facilitando la respirazione. Sono proibiti ad eccezione del salbutamolo entro il limite dei 1600 microgrammi entro le 24 ore ed il salmeterolo inalato, ovviamente previa esenzione per fini terapeutici (la cosiddetta Therapeutic Use Exemption, rilasciata dal Comitato Olimpico Nazionale o dalla Federazione sportiva internazionale a seconda della tipologia di competizione sportiva).

- Antagonisti e modulatori degli ormoni.

- Diuretici e altri agenti “mascheranti”.

Per quanto concerne invece i metodi proibiti, la lista ne elenca 3 categorie:

- Potenziamento del trasporto di ossigeno, che comprende il cosiddetto doping ematico.

- Manipolazione chimica e fisica, del campione prelevato all'atleta.

- Doping genetico; riferito, alternativamente, all'atto di trasferimento di cellule o elementi genetici (DNA o RNA) e all'utilizzo di agenti farmacologici e biologici idonei a modulare l'espressione genica.

Inoltre, la WADA aggiunge altri gruppi di sostanze vietate, ma stavolta relative esclusivamente alle competizioni (ossia al di fuori del periodo di “reperibilità”):

- stimolanti;

- narcotici;

- cannabinoidi;

- glucocorticosteroidi.


L'ONERE DELLA PROVA (Art. 3)

In precedenza si è già accennato all'onere probatorio che l'organo di “accusa” deve assolvere al fine di dimostrare l'effettiva commissione della violazione del codice antidoping. In altri termini si tratta di verificare quali livelli di certezza scientifica del fatto devono essere documentati all'esito del controllo. Su questo punto, il Codice utilizza una locuzione emblematica: “This standard of proof in all cases is greater than a mere balance of probability but less than proof beyond a reasonable doubt” che tradotta in italiano (documento attuativo del CONI) significa che “Il grado di prova richiesto è comunque superiore alla semplice valutazione delle probabilità ma inferiore all'esclusione di ogni ragionevole dubbio”. Sul piano giuridico è interessante notare come non venga affatto richiesta l'assoluta certezza, bensì un elevato grado di probabilità scientifica; un elemento che si differenzia notevolmente dall'onere probatorio nei processi penali, sia dei paesi anglosassoni (USA, Regno Unito, i paesi di common law) che di taluni di ispirazione e tradizione romanistica (come l'Italia) i quali consentono una pronuncia di condanna solo qualora la colpevolezza emerga “al di là di ogni ragionevole dubbio” (Art. 533 codice di procedura penale italiano). Inoltre, viene precisato che gli organi antidoping possono accertare l'infrazione attraverso qualsiasi mezzo affidabile (es. laboratori accreditati WADA), ivi compresa l'espressa ammissione di colpevolezza da parte dell'atleta. Una volta fornita la prova nei termini esposti, spetta all'atleta medesimo (con l'ovvia esclusione dei casi di confessione) dimostrare che l'esito positivo delle analisi sia dipeso da una violazione procedurale commessa dall'organo di controllo, oppure che l'assunzione della sostanza proibita non sia dipeso dalla sua volontà (ad es: costrizione da parte di terzi, o assoluta mancanza di consapevolezza). In merito alle ipotetiche violazioni procedurali, il Codice aggiunge che possono invalidare l'accertamento nella sola ipotesi in cui, l'esperimento della procedura corretta avrebbe condotto ad un risultato negativo. Pertanto viene esclusa ogni rilevanza ai casi di violazioni meramente formali.


Intervista a Carlo Giammattei, realizzata da Claudio Gilardelli


PARTE 2


I furbi sono sempre un passo avanti?

Si sta facendo tutto il possibile per contrastare il doping? Oppure i disonesti trovano modi sempre nuovi per avvantaggiarsi in modo illecito e per eludere i controlli? E quali sono i limiti degli attuali test? Ecco cosa ne pensa il dott. Giammattei nel seguito dell’intervista che abbiamo realizzato.
Claudio Gilardelli

Rintracciabilità delle sostanze proibite e “nuove frontiere” del doping. Sono questi gli argomenti che toccheremo nella seconda parte del nostro viaggio nel mondo del doping.

Quali sono le sostanze o le pratiche facilmente rintracciabili ai test e quali no?

Moltissime sostanze vengono ormai rintracciate con facilità con i più moderni esami antidoping. Ad esempio, per le varie forme di eritropoietina o per gli anabolizzanti esistono ormai test molto efficaci. Non esistono però al momento controlli antidoping in grado dl svelare con certezza l’uso di insulina, IGF, GH e in generale di tutti quegli ormoni o molecole che sono presenti naturalmente all’interno del nostro organismo e sono di fatto irreperibili con test diretti. A questa difficoltà va aggiunta anche la loro breve emivita (parametro che indica il tempo richiesto per ridurre del 50% la quantità di un farmaco nel sangue, ndr), che è solo di poche ore. Alcune di queste sostanze, però, come ad esempio i fattori di crescita, sono molto difficili da reperire in commercio. Pure l’autoemotrasfusione e le pratiche emodiluenti sono difficilmente rintracciabili agli attuali test.


Recentemente però non è stato “pizzicato” positivo al GH un atleta con un nuovo test?

Sì è vero, si tratta di un rugbista, il 31enne britannico Terry Newton. È stato trovato positivo a un test fuori competizione lo scorso 24 novembre. Ha ammesso l’uso di GH e ha rinunciato alle controanalisi, accettando la squalifica di due anni. Il nuovo metodo che ha permesso di inchiodare Newton è stato elaborato dal medico tedesco Christian Strasburger, ma deve ancora essere perfezionato prima di diventare un controllo di routine. Certo che però rappresenta comunque un forte messaggio sia per gli atleti che pensano valga la pena di rischiare e si apprestano ad usare il GH sia per quegli altri che l’hanno usato fino ad oggi, credendo di restare impuniti. Infatti, una volta messo a punto, il nuovo test potrà anche essere usato in maniera retroattiva sulle provette prelevate in passato e potrebbe portare alla scoperta di altri casi.
Ad esempio, i campioni prelevati durante i Giochi Olimpici Invernali di Vancouver saranno conservate per otto anni e pertanto non è da escludere l’utilizzo del nuovo test per ulteriori analisi su queste provette.

Quindi a breve avremo un test valido almeno per il GH?

Vi sono diverse equipe al lavoro – non solo quella del dott. Strasburger – con l’intento di trovare un metodo analitico valido per identificare il GH. Le complicazioni sono parecchie e sono, in parte, quelle che già citavo. Il GH utilizzato (esogeno) è una molecola umana o ricombinante umana (frutto dell’ingegneria genetica, ndr), cioè praticamente identica al GH prodotto dal nostro organismo (endogeno). Il fatto che il GH sia normalmente prodotto dal nostro corpo rende necessario un metodo che sappia distinguere il GH endogeno da quello esogeno. Inoltre la sua breve emivita renderebbe il GH difficile da ritrovare anche solo a poche ore dall’assunzione. Il GH, poi, non viene espulso tramite le urine, per cui si potrebbe rivelarne la presenza solo tramite controlli sul sangue. Ma il ciclo produttivo di GH endogeno “a cicli”, con picchi di secrezione durante l’esercizio fisico, non rende possibile stabilire un valore costante della molecola nel sangue, e quindi eventuali sbalzi nel valori possono essere ascritti tanto a doping quanto ad un picco di produzione da parte dell’organismo.

Il lavoro degli scienziati si sta concentrando sulla possibilità di determinare alcuni marker del sangue, indicatori di un assunzione di GH. Si tratterebbe di un test indiretto che permette di vedere le alterazioni di alcune molecole presenti nel corpo operate da GH esogeno, se presente, e non da quello endogeno.
Nonostante i buoni risultati, non si è ancora giunti alla stesura di un metodo riconosciuto a prova di errore e per ora non sono ancora disponibili test che possano essere usati con regolarità nei controlli antidoping.

In Spagna nel 2009 è stato approvato un decreto che vieta tassativamente che siano realizzati controlli antidoping fra le 23 della notte e le 8 del mattino del giorno successivo. La motivazione è di garantire il diritto all'intimità e alla vita familiare dello sportivo. Questo però è in contrasto con le norme della Wada che obbliga gli atleti a restare a disposizione per eventuali controlli 24 ore al giorno. È chiaro però che, almeno per queste sostanze irrintracciabili, questo decreto non toglie nulla alla situazione attuale. Concorda?

Sì, ad esempio infusioni endovenose anche di semplici zuccheri o di aminoacidi (comunque vietate dai nuovi regolamenti Wada, come già ho avuto modo di dire) o di qualunque altra sostanza che non sia reperibile con i test in uso possono essere fatte velocemente e facilmente, senza lasciare traccia. Anche nell’arco della giornata: basta chiudersi nella propria camera d’albergo e il gioco è fatto. L’eventualità che vengano a bussare alla tua porta proprio mentre ti stai dopando è molto bassa e anche nel caso succedesse puoi velocemente toglierti la flebo dal braccio prima di aprire. Quindi per questi imbroglioni il rischio vale la candela. Queste tecniche dopanti possono anche essere praticate nel lasso di tempo che va da mezzanotte alle 8 del mattino, ma visto che la possibilità di essere scoperti è bassa anche durante le altre ore della giornata, l’unico vantaggio di farsi una flebo durante la notte è solo psicologico: non si ha assilli o ansie di venire pizzicati con l’ago nel braccio e si può agire con tutta tranquillità.

Quali possono essere invece le sostanze rilevabili con test in uso ma che se assunte nel lasso di tempo che va dalle 23 di notte alle 8 del mattino non sono più rintracciabili?

Non mi risulta che fra le sostanze rintracciabili ai controlli antidoping ve ne siano alcune che non lasciano tracce della loro presenza nell’organismo umano dopo solo 8 ore.

È possibile ipotizzare, secondo lei, uno scenario in cui gli atleti che vogliono ricorrere al doping si sottopongano, subito dopo un test durante un torneo, a “cicli” di trattamento durante i quali rimarrebbero fuori dalle competizioni per 3-4 settimane, per poi tornare ancora più forti? Se sì, come è possibile scoprire chi si comporta in tal modo?

Pura fantascienza!! Abbiamo già detto che sono sottoposti a controlli a sorpresa 24 ore su 24 e infatti in Spagna hanno fatto una legge per non essere controllati almeno la notte.

Quali sono le possibilità che un atleta utilizzi una sostanza non ancora inserita nell’aggiornamento delle sostanza proibite?

Effettivamente la storia ci insegna che il pericolo è proprio che gli atleti professionisti di alto livello, invece dei farmaci noti che sono ben reperibili con i test, si dopino con farmaci di nuova sintesi o ancora nelle fasi di studio clinico, quindi non ancora pronti per la commercializzazione e di conseguenza non noti alle agenzie antidoping, anche avvalendosi della complicità di alcuni laboratori che testano e procurano loro i prodotti dopanti. In questo senso, è stato emblematico il caso del CERA, l’Epo sintetico di terza generazione usato da alcun ciclisti per moltiplicare il numero dei globuli rossi nel sangue e non ancora rilevabile dai test in uso in quel periodo. Il CERA era all’epoca in fase di studio per la cura di pazienti affetti da gravi forme di anemia e con insufficienza renale, come sostituto dell’ormone naturale che non è prodotto dai reni e dal fegato di questi individui. Un altro scandalo clamoroso fu quello della Balco, il laboratorio di S. Francisco che forniva prodotti dopanti agli atleti statunitensi (ma non solo) di spicco. La Balco somministrava ai propri “clienti” il Narboletone, uno steroide anabolizzante utilizzato solamente in alcuni studi di laboratorio negli anni settanta e che non era mai stato commercializzato come prodotto farmaceutico prescrivibile ma era disponibile solo sotto forma di un preparato grezzo venduto esclusivamente ai laboratori specializzati. Inoltre erano riusciti a sintetizzare in laboratorio un anabolizzante sintetico nuovo, il tetraidrogestrinone o THG, unendo due molecole di anabolizzanti, il gestrinone e il trenbolone, in modo tale da crearne una sola del tutto irrintracciabile con i test in uso. La Balco aveva anche modificato in laboratorio la molecola di testosterone per aumentarne la penetrazione in circolo attraverso la pelle mediante una lozione da cospargere su tutto il corpo. Anche in questo caso, nessun tennista è stato coinvolto.

Casi più recenti ce ne sono stati?

Solo sospetti per ora. Ad esempio nel corso delle ultime Olimpiadi di Pechino qualcuno ha parlato di numerosi atleti sfuggiti ai controlli proprio perché i farmaci che hanno assunto per migliorare le proprie prestazioni non sono stati identificati dai controlli standard essendo sostanze non testate sugli esseri umani, ma note per il loro effetto positivo sulle prestazioni degli animali. Ma come dicevo, sono solo ipotesi, nessuna certezza. Si ricorda poi che questi campioni vengono conservati per anni e possono essere riesaminati quando viene messo a punto un nuovo metodo.

Immagino sia ancora più pericoloso usare sostanze ancora in fase di studio o mai sottoposte a studi clinici approfonditi.

Certamente. I farmaci nuovi possono essere somministrati agli esseri umani solo una volta superati gli studi clinici. Non possiamo sapere quali possono essere gli effetti dell’uso di queste molecole nel lungo periodo e pertanto l’atleta rischia moltissimo.

Cos’è il doping genetico?

Per doping genetico si intende il trasferimento di cellule o di elementi genetici all’interno di un individuo allo scopo di modulare l’attività di geni endogeni per migliorarne le prestazioni atletiche.
Il procedimento è quello che è anche alla base della “terapia genica”: si usa un virus (generalmente un adenovirus) da cui sono stati eliminati dal DNA i geni responsabili dell’attività patogena. Il frammento di DNA rimanente, potenzialmente“innocuo”, viene legato con un frammento di DNA dell’atleta che codifichi la proteina di interesse. Il virus così modificato è poi utilizzato per “infettare” le cellule dell’atleta: al loro interno il nuovo DNA virale può, grazie a complessi processi biologici, inserirsi nel DNA della cellula ospite e cominciare a produrre la proteina di interesse, praticamente identica a quella di origine endogena e quindi non identificabile dalle tecniche in uso.
Oltre al trasferimento attraverso vettori virali, ci sono altri metodi di modificazione genetica conosciuti: impianti di cellule staminali, blocco o stimolazione dell’attività genica con anticorpi, recettori solubili, peptidi o piccole molecole. Ovviamente, tale approccio può essere applicato o immaginato solo nell’ambito di proteine che abbiano un significato per il miglioramento delle prestazioni, quali ad esempio l’Epo, il GH, l’IGF-1, la somatostatina, la miostatina (regolatore negativo della crescita muscolare).

È una pratica in uso?

Si sospetta che alcuni atleti abbiano già fatto uso di questo approccio per fini dopanti. A mio avviso però è molto improbabile, visto che sono metodiche in fase di studio su animali o nelle primissime fasi di sperimentazione sull’uomo.
Ad esempio studi preclinici sui topi hanno dimostrato ormai da qualche anno che l’aumento dell’espressione di IGF-1 nel muscolo scheletrico mediato da vettori virali favorisce un incremento della massa e della forza muscolare, così come l’inibizione della miostatina, determina crescita muscolare e diminuzione dei depositi di grasso, come dimostrato in una particolare razza di tori belga “Blue Bull”, che possiede una naturale inibizione della miostatina.
Attualmente poi sono in fase di studio clinico strategie di terapia genica con Epo per il trattamento di gravi anemie, che prevedono l’inserimento in sede muscolare del gene che codifica per l’Epo, con conseguente produzione della proteina qualora si verifichi un anormale diminuzione dell'ossigeno contenuto nel sangue.

Però si diceva prima che sono proprio i farmaci in queste fasi di studio che sono preferiti per doparsi senza essere scoperti. Perché quindi non anche il doping genetico?

Ritengo che ci sia una grossa differenza tra assumere un farmaco e cambiare in modo definitivo il proprio DNA. Quest’ultimo è infatti un procedimento estremamente complesso e rischioso, che potrebbe portare a gravissime conseguenze per la salute dell’atleta. Inoltre non è stato ancora messo a punto per importanti malattie genetiche figuriamoci per fini dopanti. Come ho già detto, ritengo quindi estremamente improbabile che possa essere utilizzato questo approccio per fini dopanti.

Claudio Gilardelli


PARTE 3

Quando si ha la vittoria nel sangue

Wada - doping


Non esistono solo farmaci e sostanze dopanti. Ci sono anche pratiche che possono dare “una marcia in più”. Ovviamente in modo illecito. La più nota è l’autoemotrasfusione. Proviamo a capire meglio di cosa si tratta. Claudio Gilardelli

Terza parte dell’intervista realizzata al dott. Carlo Giammattei, medico sportivo presso il Dipartimento di Ortopedia Medicina e Traumatologia dello Sport dell’Az. USL 2 Lucca diretto dal prof. Enrico Castellacci, medico della Nazionale di calcio italiana. Abbiamo parlato di un argomento molto “caldo”: l’autoemotrasfusione.

In cosa consiste l’autoemotrasfusione?

Consiste nel prelevare una quantità del proprio sangue (autoemo-), spesso viene effettuata dopo un allenamento in altura che lo arricchisce di globuli rossi, per poi rimetterlo in circolo alla bisogna con una normale trasfusione. Tale pratica assicura all’atleta un numero maggiore di globuli rossi nel sangue che permettono un apporto di ossigeno nell’unità di tempo nelle zone periferiche del corpo superiore a quello che si avrebbe normalmente senza autoemotrasfusione.

È una pratica dopante che effettuata una volta dà poi benefici per i mesi successivi efficacemente?

L’autoemotrasfusione è una pratica che dà benefici a lungo termine: i vantaggi si possono prolungare per tre-quattro settimane. Necessita però di grosse strutture consenzienti che permettano di conservare il sangue prelevato fino al momento del suo utilizzo. In Italia (ma anche all’estero), il sangue è sottoposto a molti controlli e nessuna struttura, sia essa pubblica o privata, può accettare sangue di provenienza sconosciuta senza commettere gravi infrazioni della legge. È evidente allora che l’autoemotrasfuzione può essere fatta solo appoggiandosi a strutture illegali o che agiscono nell’illegalità. In Austria di recente è stato scoperto uno di questi laboratori “consenzienti”.

Davvero? Mi dica qualcosa di più, per favore.

Si tratta del laboratorio viennese Humanplasma, sotto inchiesta poiché secondo gli inquirenti vi si svolgevano pratiche ematiche dopanti. Infatti, come si ricava da quanto comparso sulla stampa, si sospetta che dal 2003 al 2006 Martin Kessler, ex coach dei canottieri austriaci, Waltr Mayer, ex allenatore di sci nordico, e Stefan Matschiner, manager del ciclista Bernhard Kohl, ora ritiratosi, avrebbero sottoposto circa 30 atleti a doping ematico in quel laboratorio. I giornali riferiscono che Kessler avrebbe parzialmente ammesso qualcosa, confessando che alcuni suoi atleti in passato depositarono sacche di sangue presso Humanplasma senza però sottoporsi alla successiva autoemotrasfusione. Le indagini sono tuttora in corso. In precedenza, un’inchiesta analoga fu quella riguardante il laboratorio del medico spagnolo Eufemiano Fuentes, considerato la figura cardine dell'Operacion Puerto. In entrambi i casi però non sono state trovate prove a carico di nessun tennista.

L'autoemotrasfusione di quanto può aumentare le prestazioni nell'ambito di una disciplina a prestazione prolungata e multiforme come il tennis?

Una maggior ossigenazione nell’unità di tempo nelle zone periferiche del corpo, protratta per un periodo che può durare tre-quattro settimane è sicuramente un indubbio vantaggio, ma non possono fare di un ottimo atleta un campione. Questo è un punto importante da sottolineare: con l’autoemotrasfusione non si possono creare campioni. Un atleta eccezionale lo è anche senza tale pratica e di sicuro non lo diventa col doping ematico se non lo era già in partenza. La mia opinione è che i risultati si possono ottenere lavorando duramente sulle proprie potenzialità cercando di superare i propri limiti in maniera naturale senza dover essere dipendenti, anche psicologicamente, da pericolose pratiche dopanti.

L’autoemotrasfusione è pericolosa? Quali effetti collaterali può avere?

Certamente che è una pratica pericolosa. I maggiori rischi sono legati ad una non idonea conservazione del sangue. Inoltre vi sono i rischi dovuti ad un sovraccarico di sangue per l’apparato cardiovascolare.

L’autoemotrasfusione porta a valori fisiologici del sangue alterati rilevabili? Se sì, con quali esami?

L’autoemotrasfusione porta ad avere un numero di globuli rossi maggiore rispetto alla norma. Tuttavia a oggi non è possibile distinguere con un test se essa sia dovuta a una pratica ematica dopante o, ad esempio, a un allenamento in altura del tutto lecito. Per ora è possibile solo scoprire se è stato trasfuso sangue compatibile – non appartenente cioè alla persona oggetto della trasfusione ma a un altro donatore – attraverso l’analisi con marcatori che risultano diversi da individuo a individuo. Un test che dovrebbe riuscire anche a smascherare casi di autoemotrasfusione è però allo studio. Si tratta di una metodica in grado di individuare in una popolazione di globuli rossi quelli più vecchi (emotrasfusi) e/o fragili (stato dovuto alla conservazione che indebolisce notevolmente le cellule ematiche). Tuttavia questo test non è ancora a disposizione.
Farmaci noti, invece, come ad esempio l’Epo o gli steroidi, sono facilmente rilevabili ai test antidoping e quindi è molto difficile per professionisti di un certo livello farne uso senza essere scoperti, mentre è più semplice per gli amatori e dilettanti dove i controlli sono molto scarsi.

In attesa di test diretti, non è stato escogitato nulla per poter individuare i disonesti?

Sì certo, qualcosa si sta facendo. Ad esempio, per i ciclisti è stato istituito il passaporto biologico: è un profilo ematologico ed in futuro anche ormonale steroideo dell’atleta ottenuto dalla comparazione di parametri ottenuti da una serie di esami del sangue e delle urine condotti un in determinato periodo di tempo. Questo profilo è assolutamente personale, fotografa le condizioni “normali” dell’atleta e serve da parametro di confronto per valutare i valori ottenuti nei test di controllo eseguiti sull’atleta in gara o in allenamento. È chiaro che in questo modo l’uso di un qualsiasi farmaco non noto o fuori commercio che non sia reperibile ai test può essere ipotizzato da una alterazione significativa dei valori del profilo “standard” dell’atleta. Ovviamente, è importantissimo che il profilo sia il più accurato possibile così da fissare le caratteristiche di ciascun atleta in modo molto preciso e evidenziare agevolmente qualsiasi variazione sospetta, anche minima. Per i tennisti però non è stato pensato a nulla del genere, almeno per ora.

Il tennis è uno sport in cui si ritorna alla "base" pochissimo durante l'anno. Si può dire che questa caratteristica è importante per affermare che nel tennis l’autoemotrasfusione non esiste come pratica in quanto è più difficile da eseguire rispetto ad altri sport?

Direi di no. A mio avviso potrebbe essere molto complicato praticarla quando l’atleta è in viaggio ma non impossibile. Nel caso un tennista voglia effettuare un’autoemotrasfusione sarebbe indispensabile avere un centro di appoggio nelle città in cui giocherà o nelle sue vicinanze, se vuole sfruttare l’effetto nelle settimane successive. Facciamo un esempio. Se devo giocare Wimbledon dal prossimo 21 giugno e volessi, per questo torneo importantissimo, “avvantaggiarmi” sui miei contendenti in modo disonesto con pratiche ematiche dopanti, potrei appoggiarmi a un laboratorio specializzato a Londra in cui ho depositato preventivamente una o più sacche di sangue. In alternativa, la struttura consenziente potrebbe essere in una delle città in cui ho disputato un torneo nelle tre settimane precedenti a Wimbledon (Roland Garros a fine maggio, Halle o Londra dal 7 giugno, 's-Hertogenbosch o Eastbourne dal 13 giugno, ndr). In questo caso, però, devo avere la certezza che sarò sicuramente a giocare quel torneo in quella città in modo da depositare per tempo le sacche di sangue presso il laboratorio che mi sta aiutando. È chiaro che qualunque contrattempo che non mi permetta di essere presente nel luogo dove mi sono attrezzato per l’autoemotrasfusione manderebbe in fumo tutti questi sforzi. Infatti sarebbe difficile trasportare in tempi utili una sacca dal centro di appoggio prescelto in un altro centro situato in un'altra città o nazione e che sia anch’esso consenziente. Insomma, se un tennista in giro per il mondo per quasi tutto l’anno volesse praticare l’autoemotrasfusione dovrebbe organizzarsi scrupolosamente e nei dettagli, valutando attentamente anche gli imprevisti che spesso possono colpire chi è in viaggio. Comunque mi sembra una possibilità piuttosto remota visto le severe leggi che in ogni nazione regolano i depositi di sangue. Non riesco ad immaginare un laboratorio in Inghilterra, in Francia o in altri paesi europei che si possa prestare a queste pratiche.

I farmaci invece sono più facili da trasportare se devo spostarmi spesso di nazione in nazione?

Io non saprei proprio come eludere i controlli doganali negli aeroporti (ad esempio) trasportando farmaci dopanti. Poi c’è chi riesce a trasportare chili di droga e a farla franca.

È possibile secondo lei che gli atleti più ricchi possano avere la possibilità se lo volessero di organizzare una 'struttura' che li aiuti in tal pratica ematica dopante senza così appoggiarsi a centri o laboratori consenzienti?

Una persona con grandi possibilità economiche potrebbe in teoria avere la possibilità di allestire uno spazio con la strumentazione adatta per la conservazione del sangue. Tuttavia, c’è bisogno per gestire un laboratorio del genere di personale qualificato esperto in medicina trasfusionale. Non è certo una cosa che si può fare in casa propria senza passare inosservati. La via più praticabile è appoggiarsi a qualche centro specializzato consenziente. Ma come ho detto prima per atleti che viaggiano molto e si spostano in località diverse ogni settimana come i tennisti è necessaria un’organizzazione così precisa e meticolosa da rendere improbabile il ricorso a una tale pratica durante la stagione.

Com’è la legge italiana in materia di doping?

La legge dello stato italiano contro il doping è molto severa ed è stata presa ad modello anche da numerosi altri stati. Ad esempio basti pensare che da noi è punita anche la detenzione di sostanze dopanti ed è addirittura considerato doping l’uso di camere ipobariche, mentre all’estero è prassi comune al posto dell’allenamento in altura.

In conclusione a questa intervista vuole aggiungere qualcosa? Lanciare un messaggio?

La mia preoccupazione è sempre l’eccessivo interesse e curiosità che questi argomenti suscitano soprattutto in chi pratica sport. Sarebbe importante invece si capisse che parlare di doping equivale a parlare di droga, di sostanze illegali, di qualcosa al di fuori della legge, di una cosa di cui vergognarsi.
Questo è il messaggio che i dirigenti e gli allenatori dovrebbero diffondere soprattutto a livello giovanile, dove il concetto di legalità e di rispetto delle regole dovrebbe il principio fondamentale da far acquisire nelle categorie giovanili.
A livello professionistico vanno invece fatti controlli sempre più frequenti e soprattutto a sorpresa, fuori dalle competizioni ed in caso di riscontro di positività le pene devono essere sempre più severe, devono prevedere il pagamento di grosse multe ma soprattutto periodi di squalifica sempre più lunghi.
Dato che questi controlli sono molto costosi si dovrebbe obbligare ciascun tennista professionista a destinare una percentuale dei propri guadagni alla lotta al doping.
Con controlli sempre più precisi e frequenti bisogna arrivare alla situazione in cui doparsi sia svantaggioso per l’atleta in quanto la possibilità di venir scoperto sia sempre più elevata e che porti a gravi danni economici ed alla fine della carriera agonistica.


Claudio Gilardelli

POSSIBILI ATTORI DELL' ANTIDOPING

I MASS-MEDIA


"E' un dovere di chi fa comunicazione raccontare la cronaca con denunce puntuali e adeguati commenti. Auspicabile anche una costante cura da parte del sistema informativo nell’indicare i rischi terribili collegati al doping sul piano della salute e dell’integrità fisica. Non bisogna temere di passare per terroristi della comunicazione se si ricordano i tanti drammi personali vissuti da sportivi caduti volontariamente o, cosa ancor più grave, inconsciamente nella trappola".
Questa è la tesi di Bruno Pizzul uno dei tanti giornalisti sportivi che si è soffermato sull'importanza dei media per la formazione di un'opinione pubblica.
Questa tesi propositiva sul ruolo dei mezzi di informazione non è però così scontata e nemmeno molto diffusa. Una vasta gamma di esperti constata infatti una perdita del ruolo di moralizzatore dei costumi da parte della stampa che quando tratta il tema del doping sembra quasi voler ghetizzare il problema al caso singolo dedicando alla notizia spazi minimi e un rilievo relativo. L’argomento è trattato con la fretta delle cose che si fanno con fastidio.
Questo è quanto emerge leggendo l'articolo di Eugenio Capodacqua riportato qui sotto.

PARERI NON SCIENTIFICI

L’argomento della legalizzazione del doping torna periodicamente alla ribalta, anche con toni molto accesi. In questo caso il pezzo è molto equilibrato e più che altro è uno sfogo, a mio avviso, di chi è impegnato nella lotta contro un fenomeno inarrestabile. Lo sfogo è perciò del tutto lecito e sicuramente non credo, leggendo il pezzo, che questa persona lo pensi veramente.

Personalmente, sono contrario alla legalizzazione del doping per una serie di motivi su cui mi soffermo.

Il primo è che il doping sia eticamente scorretto. Etica, morale, intese proprio come criteri di scelta fra “bene” e “male”. Pensiamo che il doping sia “male”? Allora va combattuto, e basta. Io non sono sempre un idealista, però penso che nella vita un po’ di ideali debbano esserci.

Lo sport dovrebbe essere un mezzo di miglioramento, di crescita, di raggiungimento dei propri limiti attraverso l’uso delle proprie risorse psicofisiche, qualcosa che dovrebbe andare al di là della semplice vittoria. Pur con tutte le comprensioni, e vi posso garantire che ho un livello di empatia immenso per il doping sportivo di cui comprendo a pelle tutti i motivi, il doping è una scorciatoia. Con il doping non c’è superamento dei propri limiti tramite le proprie risorse psicofisiche, perché c’è il boost. Vero che chi si dopa si fa dei culi assurdi, ma il punto è che anche l’accettazione dei propri limiti è una crescita: arrivare al massimo per se stessi. Il doping è solo oltre, sposta le potenzialità del singolo.

Perciò, se il doping è “male”, si combatte. Legalizzarlo lo rende “non male”, lo giustifica. E’ solo una sconfitta del Sistema. Attenzione, non sto giudicando moralmente chi si dopa, considerandolo un baro, un meschino o che altro perché i singoli casi sono da valutare, proprio perchè si parla di persone cioè individui unici ed inimitabili, perciò non categorizzabili: sto giudicando solo la sua legalizzazione.

Legalizzare qualcosa che non può essere battuto è sempre una perdita. Perché allora non legalizzare la Mafia, dato che non si può sconfiggere, eleggendo in parlamento qualche boss? Tutti ridono… Perché non condonare chi fa abusi edilizi, perché non si possono impedire? Ops… ma questo già si fa! E cosa accade? Che ci rimettono gli onesti. Che il cittadino, l’uomo della strada pensa che non valga la pena di essere corretto, che è meglio mettere in saccoccia quanto più si può. E’ quello che si chiama “degrado”: non occorre andare tanto in là eh… ma poichè è l’esempio ciò che conta, non è che legalizzando si farebbe del bene alle nuove generazioni…

A differenza di altri pezzi strombazzanti che si leggono sui giornali, in questo articolo viene evidenziato un punto importante: il doping fa male. Lo sport è sinonimo di salute, sebbene sia vero idealmente e un po’ meno nella pratica, però si tratterebbe di mettere nero su bianco che viene legalizzata una pratica che fa male allo sportivo.

Ok, ci sono tanti veleni legalizzati, il fumo, l’alcool e così via. Questo ragionamento è però della serie “il male minore” e c’è sempre un “male minore”. Ad esempio: meglio doparsi che bere, meglio bere che drogarsi, meglio drogarsi che passeggiare su un campo minato, meglio un campo minato che cadere dentro un’altoforno. Anche io preferirei farmi di dianabol che atterrare al centro di una colata di ghisa, ma ciò non toglie che il dianabol faccia male. Questo tipo di ragionamento è una giustificazione per qualsiasi cosa.

Infine, il punto che vorrei evidenziare, l’aspetto pratico. Chi è così sicuro che legalizzare il doping possa regolamentarne la diffusione dovrebbe provare a stilare un piano di dettaglio di come vorrebbe fare. Ci provo:

Sarebbe necessario creare un elenco di sostanze dopanti lecite, con dosaggi in funzione degli scopi, degli sport, delle prestazioni. Servirebbe una Scienza del Doping a livello universitario e di industria farmaceutica.

Sarebbe necessario identificare le categorie, i soggetti, le persone che dovrebbero dispensare questi farmaci: la creazione di strutture tipo quelle che gestiscono il metadone nelle ASL, con piani di fornitura, fornitori, ordini, prescrizioni, personale. Identificare sedi, luoghi, e così via.

Sarebbe necessaria la creazione di un elenco di atleti che fanno uso di questi farmaci ed un modo per impedire che possano diffonderli ad altri, con un sistema di controlli appropriato.

Principalmente, si dovrebbero fare gare natural e gare doped con esplicito elenco preventivo dei partecipanti e poi, a posteriori, fare dei controlli antidoping non per determinare SE l’atleta ha preso sostanze dopanti, ma SE i dosaggi e i farmaci siano quelli legali.

Ora: alla fine sarebbero necessari comunque i controlli antidoping, anzi, ne sarebbero necessari molti di più. Costi enormi a cui si sommerebbero quelli di tutto il resto della gestione. Costi immensi ed inutili: se legalizziamo il doping attuale e tutti sono a pari livello di bombe, i record avrebbero una impennata, ma poi di nuovo qualcuno troverebbe il modo di doparsi DI PIU’ prendendo di nuovo roba non legalizzata.

Perché il doping è un modo per vincere e per fare soldi.

Non solo: la soluzione è fallimentare perchè richiederebbe comunque un cambiamento culturale della visione di una attività in cui l’introduzione di costumi più idrodinamici, maglie da panca, bici con ruote lenticolari, pattini più lunghi è sempre visto come un andare oltre le umane possibilità. E poi, chi si iscriverebbe ad un registro di persone dopate?

ECONOMIA DEL DOPING

ROMA- Università Bocconi e IGIER. Perchè conviene dopparsi. 

La decisione di un atleta di doparsi o no è presa in condizioni di incertezza, in quanto c’è una probabilità che egli venga scoperto e quindi squalificato e multato. Quindi l’individuo deciderà razionalmente se assumere
sostanze dopanti, considerando costi, benefici e probabilità di essere colto in flagrante e di conseguenza punito.

Al momento della gara possiamo pensare all’assunzione di sostanze che aumentino le performance sportive come a strategie che modificano la probabiltà di vittoria anche dell’altro atleta. Possiamo allora modellare la
competizione come un gioco in cui due sportivi decidono contemporaneamente se doparsi, modificando in questo modo le rispettive probabilità di vittoria e i rispettivi payoffs. I risultati dipendono dalla forza relativa dei due atleti (cioè le probabilità iniziali di vittoria) e dalla sostanza dopante utilizzata, quindi dall’efficacia del doping nell’aumentare la probabilità di vittoria.

May 9, 2003

Angelo Mele

UNA MEDICALIZZAZIONE INACCETTABILE DELLA SOCIETA'

SVIZZERA - Il parere di un esperto sui Giochi Olimpici di Pechino

Per Martial Saugy, direttore del Laboratorio svizzero di analisi del doping, l'impiego di sostanze dopanti è una forma di medicalizzazione della società, che non può essere tollerata. L'esperto fa il punto sulla lotta al doping in vista dei Giochi olimpici di Pechino.

Dall'atletica al triathlon, passando per il sollevamento pesi o il ciclismo, il problema del doping ha toccato negli ultimi decenni diverse discipline sportive che fanno parte dei Giochi olimpici. Numerose vicende scandalose di partecipanti che hanno impiegato sostanze illegali per vincere delle gare, come quella dello sprinter canadese Ben Johnson nel 1988, hanno segnato la storia delle Olimpiadi.

Anche l'ultima edizione dei Giochi, ad Atene nel 2004, è stata macchiata da diversi casi di doping, che hanno portato tra l'altro all'estromissione dell'atleta greco Kostas Kenteris e della collega Ekaterini Thanou. Questo fenomeno sarà di attualità anche alle Olimpiadi di Pechino? La parola a Martial Saugy, direttore del Laboratorio svizzero di analisi del doping a Losanna, accreditato dall'Agenzia mondiale antidoping.

Negli ultimi anni numerose nuove sostanze dopanti sono venute alla luce nel corso di grandi eventi sportivi. Quali nuovi prodotti potrebbero fare la loro apparizione alle Olimpiadi di Pechino?

Martial Saugy: Già ad Atene si attendeva l'avvento del doping genetico e delle terapie genetiche. I progressi compiuti in questo campo sono però ancora troppo ridotti. Non credo quindi che degli atleti siano disposti ad assumersi questi rischi.

Personalmente prevedo piuttosto un nuovo "cocktail" di sostanze illegali, in grado di migliorare le prestazioni e rafforzare la produzione di ormoni endogeni. In quest'ambito non escludo che degli atleti abbiano sperimentato nuove soluzioni.


Secondo l'esperta di doping Ines Geipel, ex atleta della Germania orientale, il doping genetico sarebbe già una realtà.

M.S.: Il termine doping genetico abbraccia un campo molto vasto. Si parla ad esempio di sostanze che consentono di stimolare la produzione di ormoni. Non credo però che siano già state messe a punto.

Già immaginabili sono invece dei prodotti di bioingegneria. Si tratta di derivati delle biotecnologie che non sono mai stati commercializzati sul mercato medico-farmaceutico.

La Cina sta conoscendo un vero e proprio boom anche nel settore farmaceutico. Il paese che ospita le Olimpiadi è anche un grande produttore di sostanze dopanti?

M.S.: A questo proposito vi sono già state delle discussioni con le autorità cinesi, in cui è stata coinvolta anche l'Agenzia mondiale antidoping. La Cina figura sicuramente tra i principali produttori di sostanze di base che vengono poi rielaborate in altri paesi. Lo dimostrano le statistiche degli uffici doganali, ma anche i dati raccolti dalle agenzie specializzate nella lotta contro il doping.

Vi saranno anche a Pechino - come già successo ai campionati del mondo di atletica di Soccarda nel 1993 - dei rappresentanti cinesi in grado di fare incetta di medaglie, dopo essere praticamente usciti dal nulla?

M.S.: Vi sono esperti e funzionari delle associazioni sportive che temono questo scenario. La federazione cinese di atletica ha deciso di organizzare solo a fine luglio le prove valide per le qualificazioni dei propri atleti ai Giochi. Questo fatto non contribuisce molto ad attirare la fiducia.

Personalmente sono però piuttosto ottimista. Per la Cina, che mira ad aprirsi al mercato mondiale, sarebbe una pessima operazione di marketing, se i suoi atleti dovessero dominare in modo dubbio alcune discipline sportive.

È chiaro che tutti vogliono essere competitivi. È un fatto che rientra d'altronde nell'interesse dello sport. Ma, oggi, la situazione è totalmente diversa rispetto ai campionati del mondo di Stoccarda del 1993.

Lei ha proposto di introdurre una sorta di passaporto del doping per gli atleti. Che cosa spera di ottenere con questa proposta?

M.S.: I metodi utilizzati oggi per verificare l'impiego di sostanze illegali hanno dimostrato i loro limiti. In modo particolare perché non sempre i controlli giungono al momento giusto.

Questo passaporto ci consentirebbe di disporre di un profilo preciso di ogni atleta su un lungo periodo di tempo. Dei mutamenti importanti potrebbero così essere riscontrati molto rapidamente, indipendentemente dal momento in cui vengono effettuati i testi ufficiali.
Per gli atleti diventerà più difficile modificare i loro parametri – ad esempio quelli relativi al testosterone, agli ormoni della crescita, agli ematocriti o all'emoglobina – senza correre il rischio di farsi scoprire. Gli ormoni della crescita ad esempio si riscontrano in diversi parametri fisici, dal momento che influenzano numerose funzioni del metabolismo.

Gli esperti impegnati nella lotta contro il doping sono spesso in ritardo di uno o due passi rispetto a coloro che mettono a punto queste sostanze. Come riesce a trovare la sua motivazione per proseguire questa lotta impari?

M.S.: Secondo me non possiamo accettare una medicalizzazione della società. I problemi professionali – tra i quali figura anche lo sport – e quelli della vita quotidiana non possono essere risolti con l'impiego di medicinali.

Personalmente sono un appassionato di sport e bevo volentieri un bicchiere di vino in occasione ad esempio di una festa. Ma non utilizzo delle anfetamine per sentirmi meglio il giorno dopo. E non voglio che i miei figli siano costretti ad assorbire sostanze dopanti per poter esercitare uno sport.

intervista a cura di Renat Künzi

(traduzione e adattamento Armando Mombelli)